A dieci minuti dalla fine della sfida di ritorno fra Real Madrid e City, gli inglesi avevano in tasca il pass per la finale di Parigi. Poco più di mezz’ora più tardi, i citizens venivano eliminati da un’altra grande rimonta madrilena in un Bernabéu in estasi.
Gli uomini di Guardiola si sono sciolti come neve al sole a pochi metri dal traguardo. Come è stato fatto notare, non si tratta di una prima volta per una squadra di Pep.
Come provare a spiegare il risultato di ieri in modo razionale, tenendo conto dei dati di cui sopra?
È certamente lecito ricordare che, soprattutto nella partita di andata (ma in realtà anche al ritorno, seppur in misura minore) il City ha generosamente sbagliato diverse occasioni da gol. Non è Guardiola che deve segnare. Un tecnico allena fino agli ultimi sedici metri di campo offensivi. Nell’area avversaria, in fase di finalizzazione, intervengono le qualità individuali.
Proprio qui sta uno dei punti di lettura dell’eliminatoria fra City e Real. Si è trattato infatti di un classico scontro fra una squadra con un sistema ed un modello di gioco, con un contesto ben determinato ed un’altra che si affida maggiormente alle individualità.
Nell’atavico confronto fra organizzazione e qualità dei singoli stavolta ha avuto la meglio quest’ultima.
Detto questo e tornando ai dati di cui sopra, viene naturale interrogarsi sul possibile comun denominatore che unisce il collasso del City col Real ad altre cadute storiche delle squadre di Guardiola. In questo senso, tutte le sfide precedenti sono caratterizzate da collassi improvvisi o da troppi gol concessi.
I problemi sembrano quindi essere in difesa. Un reparto sul quale nelle ultime stagioni Guardiola ha lavorato molto. Non a caso in Premier quest’anno il Manchester City è la miglior difesa sia per expected goals against (22.51) che per reti effettivamente subite (21, una in meno del Liverpool).
Per quanto possa essere elevato il livello della competizione nazionale (il campionato ad oggi no.1 nel mondo), quello della Champions lo è di più. Le difficoltà quindi aumentano. A spiegare le cadute delle squadre di Pep hanno spesso contribuito anche i casi di overthinking del tecnico: dal famoso 4-2-4 all’epoca del Bayern (ancora contro il Real di Ancelotti) fino alla scelta di tenere in panchina Fernandinho contro il Chelsea nella finale di Champions dello scorso anno.
Questa volta però le decisioni prese da Guardiola nel doppio confronto con i blancos sono apparse corrette, sia in termini di selezione degli uomini che di cambi in corso d’opera.
Una possibile spiegazione può quindi essere relativa al fatto che il giocatore, in un sistema che tende a produrre grandi quantità di palle gol in una partita, ha meno cattiveria sottoporta dal momento che sa che, comunque vada, avrà altre chance nel corso dell’incontro.
Altra ipotesi, lanciata dal giornalista Miguel Delaney, è che i giocatori di Guardiola siano talmente ‹‹dipendenti dal sistema che non sappiano come reagire quando il sistema fallisce››.
Appunto interessante al quale bisognerebbe aggiungere la domanda se gli stessi giocatori, fuori da quel contesto, siano in grado di raggiungere quel livello al quale sono arrivati grazie anche a quello stesso sistema.
Se parliamo di Kevin De Bruyne o Phil Foden la risposta probabilmente è sì. Per altri (come ad esempio Riyad Mahrez o Rúben Dias) qualche dubbio è lecito.
Per quanto riguarda il Real, l’ennesima impresa non può essere attribuita al caso. La squadra di Carlo Ancelotti è stata sull’orlo dell’eliminazione già contro Paris Saint-Germain e Chelsea e ha saputo riagguantare la qualificazione in entrambi i casi ancora una volta nel finale.
Bisogna dare meriti al tecnico ed ai suoi giocatori per la capacità di rimanere sempre mentalmente in partita. Se compariamo questa annata (con vittoria in Liga e finale di Champions conquistata) con l’esperienza con l’Everton (sulla valutazione della quale l’opinione pubblica è divisa a metà) o con quelle al Bayern o al Napoli, si notano subito delle differenze.
In Germania i giocatori non apprezzavano le metodologie di Ancelotti, considerate meno allenanti rispetto a quelle del predecessore (proprio Guardiola). A Napoli prestazioni e risultati sono stati al di sotto delle attese.
L’idea quindi sembra essere che anche Ancelotti, in questo momento della sua carriera, abbia bisogno di un certo tipo di giocatori. Come Guardiola. Al tecnico catalano servono elementi in grado di calarsi nel contesto senza volerlo dettare (vedi Ibrahimović al Barcellona). Carlo invece necessita di calciatori in grado di produrre giocando ‘liberi’, vale a dire senza necessità di avere intorno una struttura in grado di esaltarli. In pratica, più di un Benzema che di un Insigne.
Ad ognuno la sua squadra ed il suo calcio. Alla fine in questa sfida ha avuto ragione Ancelotti. A Guardiola resta un’altra cocente eliminazione.

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