Napoli e Real Madrid escono da due trasferte difficili nell’andata degli ottavi di Champions League (rispettivamente a Francoforte e a Liverpool) con altrettante vittorie (0-2 gli azzurri, addirittura 2-5 le merengues) che certificano il loro fantastico stato di forma a livello europee (e per gli azzurri questo assunto è valido anche in campionato).
Due prestazioni roboanti, due masterclass che però hanno seguito due approcci filosofici diversi.
Luciano Spalletti ha iniziato la sfida con l’Eintracht partendo con il consueto 4-3-3 di base ma operando alcune scelte sorprendenti, a partire da quella di Oliveira preferito a Mario Rui come terzino a sinistra.
Davanti a loro i napoletani si sono trovati l’Eintracht che ci si attendeva. Glasner infatti ha presentato la squadra con un atteggiamento difensivo volto a creare campo alle spalle della retroguardia italiana. Nel far questo ha disposto il suo abituale blocco medio con il centravanti Kolo Muani che lasciava libertà a Kim e Rrahmani di muovere palla, occupandosi invece di schermare Lobotka.
I due mediani tedeschi (Kamada e Sow) avevano invece il compito di contrastare Zieliński e Anguissa mentre i due trequarti Götze e Lindstrøm riempivano in fase difensiva i rispettivi mezzi spazi, pronti a scivolare in ogni direzione ove fosse necessario.
In linea di massima l’Eintracht dava priorità alla chiusura dei corridoi centrali del campo, per essere pronto poi ad aggredire quando il Napoli spostava palla sugli esterni. Nei primi venticinque minuti di gara questo atteggiamento funzionava.
Prevendendo questo piano gara (lo stesso attuato un anno fa da Glasner contro il Barcellona) Spalletti aveva appunto inserito Oliveira per avere un giocatore in ampiezza da quel lato di campo che permettesse a Kvaratskhelia di associarsi a Osimenh sulla prima linea d’attacco. Dall’altra parte invece a dare ampiezza era Lozano.
In questo modo Spalletti andava a costruire una struttura fortemente posizionale, con massima ampiezza garantita dal georgiano e dal messicano e con tutti e cinque i canali verticali del campo occupati.
Questo atteggiamento era inizialmente troppo statico, incontrando alcune delle difficoltà tipiche del gioco di posizione contro sistemi difensivi collaudati a cinque. Le cose sono migliorate quando il Napoli ha aumentato l’intensità della propria manovra e il movimento dei suoi interpreti, sfruttandone gli attacchi alla profondità.
L’azione del gol del vantaggio nasce però da una palla intercettata da Lobotka su passaggio di Götze e dalla conseguente giocata del centrocampista slovacco che mette in moto Lozano sul cui cross si avventa Osimhen.
Dopo il gol dell’uno a zero l’Eintracht ha finito per abbassarsi fino a quando l’espulsione di Kolo Muani ha di fatto concluso la partita dei tedeschi, indirizzandola definitivamente verso gli uomini di Spalletti che, con calma e pazienza, hanno trovato il meritato raddoppio.
In pratica, a risultare interessante è stata soprattutto la prima frazione di gioco, con l’Eintracht che ha mostrato come mettere in qualche misura in difficoltà la perfetta macchina napoletana, anche se alla fine Glasner ha pagato la sofferenza difensiva causata dalla partita dei suoi due quinti (Aurelio Buta e Philipp Max), in perenne difficoltà in situazione di uno contro uno.
Il trionfo del Real Madrid ha invece seguito un’altra strada. Molto spesso si è parlato della fortuna di Carlo Ancelotti, termine col quale si è equivocata la capacità che le sue squadre hanno di girare gli episodi a loro favore.
Dovendo rinunciare a Tchouameni e a Toni Kroos, Ancelotti ha mandato in campo Camavinga come vertice basso della mediana a tre con Valverde e Modrić da interni, con Rodrygo in attacco.
Dopo aver approcciato male la gara e aver perso una quantità industriale di palloni, concedendo al Liverpool un doppio vantaggio che avrebbe stordito tante altre squadre, il Real Madrid ha preso possesso della metà campo avversaria e della partita, cominciando a macinare gioco.
E lo ha fatto seguendo la strada del gioco funzionale utilizzato da Ancelotti negli ultimi anni di carriera. Quello stesso approccio che gli aveva creato problemi a Monaco di Baviera e a Napoli (dove aveva trovato giocatori che avevano alle spalle successi conseguiti all’interno di strutture ordinate come quelle lasciate in eredità da Pep Guardiola e Maurizio Sarri) si è invece rivelato vincente in questa sua seconda esperienza nella Casa Blanca.
In questo senso il Real, forte anche di una mentalità che non si infrange davanti alle avversità del momento, ha ricostruito quella rete di associazioni tecniche che hanno caratterizzato la gestione Ancelotti.
Queste associazioni hanno visto per protagonista soprattutto Vinícius, che ha ricevuto ben dieci passaggi chiave dai compagni. In questo senso, particolarmente esplicativa è la rete del brasiliano che ha dato il via alla rimonta madrilena. Il gol dell’1-2 nasce infatti da una insistita azione d’attacco del Real che per ben due volte muove palla nella zona sinistra del campo.

In quella zona di campo la squadra di Ancelotti va a creare una rete di connessioni che vede implicati in modo particolare Benzema e Vinícius. L’attacco dei blancos non è posizionale, con occupazione di ogni corridoio del fronte offensivo, bensì funzionale, dando priorità non allo spazio ma alla posizione della palla e, appunto, ai legami fra i giocatori.
Da lì in poi si è confezionata una rimonta incredibile che ha confermato ancora una volta la forza della squadra di Ancelotti. Una forza che non è solo mentale e tecnica ma che è anche figlia di una organizzazione tattica aposizionale che facilità un gioco di appoggio e avvicinamento (apoio e aproximação), de toque, di matrice sudamericana.
La libertà concessa ai giocatori sul piano offensivo non significa quindi anarchia, ma viene inserita in modello tattico ben preciso.

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