Ogni Mondiale che si rispetti presenta delle sorprese, positive e negative. E questo accade sovente nelle prime partite dei gironi, quando la tensione è massima, soprattutto da parte di quelle squadre che partono fra le favorite.
Così è stato anche quest’anno in questi strani mondiali qatarioti. E, ancora una volta, il fracaso iniziale è stato opera dall’Argentina, così come accadde trentadue anni fa in occasione della partita inaugurale di Italia 90 quando l’albiceleste venne sconfitta dal Camerun di Roger Milla (che sarebbe poi arrivato fino a quarti di finale).
A compiere l’impresa è stata l’Arabia Saudita di Hervé Renard (tecnico giramondo e poco conosciuto alle nostre latitudini ma estremamente abile) il quale, tenendo fede al proprio nome (renard in francese vuol dire volpe) ha giocato ai campioni del Sud America uno scherzetto che, come dichiarato dal cinquantaquattrenne di Aix-les-Bains nel post-gara, ‹‹rimarrà negli annali››.
Per mettere in difficoltà un avversario nettamente superiore, che avrebbe prevedibilmente tenuto a lungo il controllo del pallone (64% di possesso) Renard ha organizzato la squadra saudita attorno a due principi difensivi ben chiari: linea alta e chiusura delle zone centrali del campo.
A impressionare è stato soprattutto il primo aspetto. Infatti la squadra araba ha mantenuto un baricentro molto alto per quasi l’intera durata della partita, abbassandosi solo nel finale (di fronte agli ultimi, disperati assalti argentini) ma sempre riuscendo difendere con efficacia la propria porta.

Una esasperazione della tattica del fuorigioco (sette volte solo nei primi quarantacinque minuti) che ha pagato, centrando il duplice obiettivo di tenere lontani gli attaccanti della squadra di Scaloni e di frustarne il possesso, dato che quest’ultimo non riusciva mai a trovare sbocchi in profondità.
L’atteggiamento difensivo dei sauditi è stato certamente rischioso (l’Argentina ha avuto tre reti annullate nel primo tempo per centimetri) ma ha impedito agli uomini di Scaloni di ricevere palloni giocabili negli ultimi trenta metri di campo, in zone cioè dove la loro qualità avrebbe potuto sicuramente fare la differenza.
Da parte loro gli argentini non sono riusciti a concretizzare la loro superiorità e questo nonostante il fatto di essere passati in vantaggio quasi subito grazie ad un rigore trasformato da Messi. Per il resto, la compagine di Scaloni ha avuto molte difficoltà nel costruire una manovra fluida.
Nel primo tempo in particolar modo, il possesso argentino era disarticolato, con uno sviluppo 4-2-4 che vedeva Messi in posizione centrale ma oscurato bene dalle linee difensive saudite (ben 11 i passaggi chiave ricevuti dal no.10 del Psg, spesso però in zone non pericolose di campo); Nahuel Molina bloccato sulla destra; Nicolás Tagliafico impalpabile a sinistra e un de Paul statico a cercare di dare equilibrio in mezzo insieme a Leandro Paredes.
Il risultato è stato quello di affidarsi spesso a soluzioni individuali che non portavano a niente.
A favorire l’inconsistenza della manovra d’attacco argentina è stata però anche la scelta tattica del ct di rinunciare quasi del tutto alla costruzione da dietro che aveva caratterizzato la sua conduzione tecnica, per affidarsi invece soltanto a continui lanci in verticale, come detto vanificati dalla trappola del fuorigioco attuata dagli avversari.
Scaloni ha cercato di aggiustare qualcosa nella costruzione inserendo (Lisandro Martínez) e aumentando il potenziale offensivo con gli innesti dei vari Enzo Fernández, Julián Álvarez e Marcos Acuña, senza risultati.
Quando infatti i sudamericani riuscivano ad arrivare dalle parti della porta della squadra di Renard, ci ha pensato il no.1 saudita Mohammed al-Owais a risolvere la pratica. I 6 tiri totali nello specchio da parte dell’Argentina sono comunque pochi in relazione alla differenza tecnica fra le due squadre.
Una vera e propria lezione di difesa attiva quella impartita da Renard a Scaloni (e da parte di una squadra che nelle qualificazioni asiatiche aveva concesso solo 10 reti in 18 partite disputate) che ora mette la nazionale araba nelle migliori condizioni per provare ad eguagliare quanto fatto nei mondiali americani del 1994 quando, guidata dall’estro di Saeed Al-Owairan, riuscì ad arrivare agli ottavi di finale della competizione.
Per quanto riguarda invece Messi e compagni, non c’è tempo da perdere. Essere sconfitti all’esordi di un torneo del genere ha spesso comportato l’eliminazione. Tuttavia, la squadra ha il talento per riprendersi. Nel già citato mondiale di Italia 90 gli uomini di Bilardo seppero riuscirci, issandosi fino alla finale persa poi contro la Germania.
Spetta ora a Scaloni ed ai suoi rialzare la testa per ripercorrere quella strada, magari con un finale diverso. Altrimenti il rischio è quello di seguire invece il cammino di un’altra Argentina, quella che da favorita venne eliminata nel girone del campionato del Mondo del 2002 (e in quel caso nonostante una vittoria all’esordio).

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