Alla vigilia della sfida di Champions la situazione vedeva un Inter in difficoltà dover affrontare l’insidiosa trasferta del Camp Nou contro una squadra prima nella Liga (alla pari del Real Madrid), reduce da un filotto di 7 vittorie consecutive in campionato e in ambiente reso ancora più caldo dalla decisione del club catalano di vietare ai tifosi ospiti l’esposizione di vessilli nerazzurri.
I novanta (e più) minuti di partita hanno rovesciato la situazione. È stata infatti l’Inter a uscire dal campo non solo con un risultato favorevole (3-3), ma anche con qualche ritrovata certezza che invece la squadra di Xavi ha perso.
Dal punto di vista tecnico e tattico è stata una partita elettrizzante, al di là delle reti realizzate nel finale che hanno tenuto in sospeso il risultato fino all’ultimo. All’interno della sfida in terra spagnola si sono viste infatti tante partite, con il momentum che è via via cambiato a favore dell’una o dell’altra compagine, in uno scontro che ha confermato la complessità raggiunta dal gioco ai suoi livelli più alti.
La versione iniziale del Barça, scelta da Xavi, ha riproposto un sistema base che ha riportato alla mente quando ad allenare i blaugrana c’era van Gaal. I catalani infatti si disponevano in possesso in un 3-3-1-3 con Sergi Roberto che si alzava a svolgere funzioni da mezzala e con Pedri che agiva da no.10 dietro Robert Lewandowski.

Questo sviluppo offensivo metteva in difficoltà l’Inter, con la squadra di Simone Inzaghi che faceva particolare fatica a leggere proprio i movimenti di Sergi Roberto a venire dentro il campo.
Dopo una prima parte di gara di questo tipo, la banda Inzaghi riusciva però a impadronirsi del contesto gara e a dettarlo senza palla. I nerazzurri, bassi ma compatti nel loro 5-3-2, negavano al Barcellona facile accesso nella zona di rifinitura, costringendo la squadra di Xavi a rifugiarsi sulle zone laterali per attaccare il blocco difensivo avversario, col risultato di produrre un enorme quantitativo di cross (42).
Quando poi l’Inter entrava in possesso, nonostante alcune difficoltà iniziali della coppia di attaccanti, la compagine milanese risultava pericolosa, come dimostrato dalla traversa colpita da Dzeko.
Il gol del vantaggio di Ousmane Dembélé sembrava rompere questa situazione e spostare l’inerzia della gara verso il Barcellona. Invece, gli spagnoli non traevano profitto dalla situazione di vantaggio, limitandosi a controllare il possesso (62% il dato finale), ma senza troppo costrutto.
Così, col risultato di 1-0 si chiudeva un primo tempo che aveva visto un Inter comunque reattiva in transizione, grazie al lavoro di Mkhitaryan e Çalhanoğlu in mezzo al campo.
La ripresa si apre col pareggio nerazzurro, grazie ad un Barella abile a sfruttare il cattivo posizionamento di Piqué.
A quel punto comincia un’altra gara, con le squadre che si allungano e si aprono e con i due portieri che si prendono il palcoscenico. Onana attraverso una serie non sempre pulita di interventi che ne confermano le doti fisiche, ma ance la necessità di dover lavorare sulla difesa della porta e sulle uscite. Da parte sua, ter Stegen è invece bravo a dire di no su alcune ripartenze interiste. Il portiere tedesco non può però nulla sull’ennesimo ribaltamento di fronte dell’Inter, stavolta concluso da un gran gol di Lautaro Martínez, che sfrutta la palla persa da Busquets e supera Eric García prima di battere il no.1 blaugrana.
Messo con le spalle al muro, Xavi manda in campo via via i vari Frenkie de Jong, Alejandro Balde, Ansu Fati, Franck Kessié e Ferran Torres nel tentativo di aumentare il potenziale offensiva a sua disposizione.
Queste mosse si traducono in un Barcellona ancora più padrone del campo, ma non della partita dato che la circolazione a U della squadra di Xavi finisce prevalentemente per riversarsi ancora una volta sulle fasce, da dove piovono spioventi o si provano iniziative personali.
Per contrastare l’all-in del tecnico catalano, Inzaghi decide di operare una serie di cambi che ridisegnano la squadra in un 5-4-1 estremamente reattivo e che vede ad un certo punto contemporaneamente in campo Darmian, Bellanova e Gosens.

L’idea è quella di difendere il risultato in una maniera che appare simile a quanto fatto dalla stessa Inter nel 2010 contro il Barcellona allora di Pep Guardiola, pur in condizioni diverse (gli uomini di Mourinho erano infatti in dieci e difendevano uno 0-1 che sarebbe comunque valso la qualificazione).
Sfortunatamente per Inzaghi, il gol del pareggio di Lewandoski riapre la contesa, prima che sia Gosens a chiuderla sfruttando un lungo assist di Onana. Il 3-3 finale, realizzato ancora dal centravanti polacco, fissa il punteggio finale a e manda le due squadre negli spogliatoi.
Dal punto di vista dell’Inter, la missione è compiuta. Inzaghi ha ancora una volta scherzato col fuoco dei cambi, andando ad un certo punto a rinunciare al palleggio con l’uscita di Çalhanoğlu e decidendo di affrontare gli ultimi minuti in apnea all’interno dei propri trenta metri difensivi, salvo qualche sporadico contropiede.
In questo senso, l’uscita di Dumfries ha tolto alla squadra l’elemento più abile nella risalita del campo. In generale comunque la prestazione c’è stata, sia a livello emozionale che tattico. Certo, ci sono ancora ampi margini di miglioramento, sia a livello individuale (Onana) che dal punto di vista del gioco, con la coppia formata da Lautaro e Dzeko che ha volte ha riproposto i noti problemi di incompatibilità.
Da parte del Barcellona il risultato è invece più preoccupante. Non solo perché va a complicare la qualificazione agli ottavi, ma anche perché figlio di una serie di scelte di Xavi che sono state rivedibili. A cominciare dal riproporre Piqué, vero punto debole della retroguardia spagnola, per continuare con un possesso palla che è risultato spesso sterile e per finire con l’enorme difficoltà del Barça nel gestire le transizioni difensive. E gli strali della critica cominciano a dirigersi verso la gestione Champions di Xavi.

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