Dopo un inizio di stagione altalenante ma prevedibile (in funzione dei cambiamenti apportati), nelle ultime settimane la Lazio sembra aver intrapreso con più convinzione il processo di mutazione genetica avviato quest’anno con l’arrivo in panchina di Maurizio Sarri.
A finire sotto la lente d’ingrandimento inizialmente è stato soprattutto il lavoro del centrocampo, con il trio composto da Milinković-Savić, Leiva e Luis Alberto che ha faticato a mettere in pratica il modello di gioco proposto dall’allenatore toscano.
In generale ai centrocampisti biancocelesti si imputava una scarsa dimestichezza nel muovere la palla velocemente e anche dei deficit nella fase di non possesso che esponevano la squadra a pericolose transizioni negative.
Le difficoltà col pallone fra i piedi non erano però limitate alla lentezza della manovra sulla mediana ma anche ad una certa difficoltà nello sviluppo della fase di costruzione e in una rifinitura ancorata alle iniziative individuali di Felipe Anderson e Pedro, con lo spagnolo che spesso doveva anche appoggiare il primo possesso per facilitare la problematica risalita del campo.
In questo contesto, con un play basso come Leiva (dalle caratteristiche opposte ai giocatori che Sarri ha sempre utilizzato davanti alla difesa) oltre che su Pedro il lavoro di uscita dalla prima pressione avversaria vedeva protagonisti il no.1 Reina e le due mezzali (Luis Alberto a sinistra e Milinković-Savić a destra) con queste ultime che però spesso giocavano a muro con i difensori ma senza che questo riuscisse a produrre uno sviluppo successivo in grado di garantire un guadagno adeguato di metri i avanti.
Non potendo contare su grande qualità in possesso nemmeno a livello di esterni bassi (con i vari Marusic, Hysaj e Lazzari) Sarri ha alla fine optato per una modifica al lineup iniziale che ha previsto l’inserimento di Cataldi al posto di Leiva.

Infatti, dopo un periodo di alternanza fra i due, nelle ultime tre uscite di campionato (con sètte punti conquistati fra Fiorentina, Atalanta e Salernitana) il 27enne romano sembra essersi guadagnato i galloni da titolare, sfoderando una serie di prestazioni che lo hanno condotto fino in nazionale.
In queste tre partite Cataldi ha giocato un totale di 241 minuti giocando una media di 68.6 palloni a partita, calandosi sempre più nel ruolo di play basso del sistema di Sarri.

La presenza di Cataldi davanti alla difesa ha aiutato il possesso biancoceleste a diventare più fluido rispetto all’inizio di stagione, col centrocampista laziale che si è via via guadagnato la ribalta grazie ad un’accorta distribuzione, come testimonia il dato dei passaggi chiave per le partite in questione, passato dalle tre prodotte contro la Fiorentina alle cinque con l’Atalanta (migliore in campo insieme al bergamasco de Roon in questa graduatoria) fino alle sèi prodotte nella sfida alla Salernitana.
Il miglioramento del palleggio dei biancocelesti ha contribuito anche ad elevare le prestazioni di un Luis Alberto che, in un primo momento ai margini del nuovo progetto tecnico, è ora tornato ora ad occupare una posizione di primo piano nella fase offensiva della compagine capitolina.
Col no.32 in campo il centrocampo laziale sta creando quelle associazioni che sono alla base della fase di possesso prediletta da Sarri.

Rispetto a Leiva, Cataldi garantisce meno copertura ma offre, oltre ad una miglior qualità in palleggio, anche una maggior capacità di farsi trovare smarcato alle spalle della prima linea di pressione avversaria, così da poter rendere più veloce la manovra e aiutare la squadra nella risalita del campo.
In conclusione, una delle problematicità della Lazio sarriana evidenziata fin dal mercato estivo, cioè la mancanza di un metronomo con determinate caratteristiche davanti alla difesa, potrebbe essere stata risolta con una soluzione fatta in casa.