Il capitano della Juve che alza al cielo la coppa Campioni nel 1996, il giocatore e allenatore del Chelsea agli inizi del periodo d’oro del club londinese, l’uomo squadra che accompagna gli azzurri alla vittoria nell’Europeo 2021…
Questi e molti altri sono stati i volti di Gianluca Vialli nel corso della sua straordinaria carriera nel mondo del calcio. Oggi, nel giorno della sua scomparsa, mi piace ricordare soprattutto il Vialli della prima parte della sua vita calcistica, quello che lo fece assurgere a icona della Samp scudettata del 1991 (in coppia con l’inseparabile gemello del gol Roberto Mancini) e, nel mentre, a diventare il più forte attaccante italiano dall’epoca di Gigi Riva.
In azzurro Vialli aveva esordito il 16 novembre 1985 a 21 anni, in amichevole contro la Polonia. Si trattava della nazionale che stava preparando la difesa del titolo mondiale conquistato in Spagna nel 1982.
Enzo Bearzot, nonostante gli scricchiolii già evidenziati dalla mancata qualificazione a Euro 1984, aveva sostanzialmente deciso di portare in Messico diversi elementi già protagonisti della vittoria di quattro anni prima. Accanto a loro, alcuni giovani promettenti o comunque giocatori espressi da quello che all’epoca era ancora il campionato più bello del mondo.
Fra questi appunto Gianluca Vialli, maglia no.17 in un periodo in cui i numeri venivano assegnati ai giocatori di movimento su base alfabetica all’interno del proprio reparto di difesa, centrocampo o attacco.
Per la stella in ascesa del calcio italiano il ruolo designato è quello di seconda linea alle spalle di Spillo Altobelli e Giuseppe Galderisi, i titolari dell’attacco azzurro.
La punta della Samp è quello che ai tempi veniva considerato un centravanti-ala. Una definizione difficilmente adattabile al contesto moderno. Ma si trattava di un altro calcio. Un attaccante delle caratteristiche di Vialli era quindi essenzialmente una punta agile, tecnica, capace di puntare la porta, superando gli avversari in dribbling e dotato di una buona potenza fisica. Un attaccante completo insomma.
Non un esterno alla Bruno Conti per intenderci, ma nemmeno un no.9 vecchia maniera, abile a muoversi solo negli ultimi sedici metri.
Il Mondiale messicano sarà una campagna da dimenticare per l’Italia e rappresenterà anche il canto del cigno del ciclo di Bearzot alla guida degli Azzurri. Per Vialli ci sono comunque quattro presenze, una in ogni partita disputata dalla nazionale, seppur sempre come subentrante.
Una volta conclusa l’esperienza mondiale, la nazionale viene affidata ad Azeglio Vicini, ex assistente di Bearzot. Il nuovo commissario tecnico decide di trasportare i giovani della Under 21 (della quale era l’allenatore) in prima squadra, confidando in una invidiabile generazione di talenti.
In questo senso si rovesciava il teorema portato avanti da Bearzot: da una squadra con molti veterani e qualche giovane si passava ad una con molti giovani (Vialli, Giuseppe Giannini, Walter Zenga, Roberto Donadoni, Ferdinando De Napoli) accompagnati da alcuni veterani come il ‘vecchio’ Beppe Bergomi, Franco Baresi, Carlo Ancelotti e Altobelli.
Il gruppo si amalgama subito, dando prova di una compattezza e di una freschezza che fanno innamorare subito gli Italiani, rapiti da quei giovani belli, atletici e sorridenti, specchio dell’ottimismo che ancora pervadeva il Paese e l’Occidente nella seconda metà degli anni ottanta.
È con questa formula che l’Italia deve cercare di ottenere la qualificazione al primo appuntamento importante, il campionato europeo previsto per l’estate 1988 in Germania.
Il gruppo di qualificazione al torneo non è impossibile. Accanto a Svizzera e Malta ci sono però anche Portogallo e Svezia, avversari da prendere con le molle.
Di fondamentale importanza per la qualificazione si riveleranno le sfide con gli svedesi. All’andata, si impose la Svezia (1-0) in una partita che vide anche l’errore di Mancini dal dischetto (tiro neutralizzato da Thomas Ravelli) con la conseguenza di consegnare a Gleen Strömberg e compagni la testa del girone.
Una situazione problematica che costringeva gli Azzurri a vincere la gara di ritorno, in programma a Napoli il 14 novembre 1987. A farsi carico della squadra di Vicini fu ancora una volta Gianluca Vialli, autore di una doppietta inframmezzata dal momentaneo pareggio scandinavo segnato da Larsson (già autore del gol dell’andata) su assist di Johnny Ekström.
Le due reti realizzate da Vialli rappresentano un compendio perfetto delle qualità dell’azzurro: la prima con un’azione da esterno sinistro d’attacco (dopo passaggio di De Agostini) conclusa con un potente tiro sotto l’incrocio dei pali. I dubbi espressi da Sandro Mazzola, preziosa seconda voce del tempo (‹‹non so se Vialli volesse tirare in porta o crossare››) sembrano cancellati dallo sguardo rivolto dall’attaccante alla porta di Ravelli.
Il raddoppio di Vialli è frutto di un altro assist di De Agostini, convertito in rete dal giocatore della Samp con un tiro a incrociare dopo essersi defilato alle spalle del marcatore avversario.
La vittoria con la Svezia rese più semplice affrontare l’ultima partita con il Portogallo, chiusa con un sonante 3-0 (ancora Vialli e poi Giannini e De Agostini).
Per il campionato europeo Vicini decide di chiamare anche i promettenti Maldini e Rizzitelli continuando quell’opera di ringiovanimento di una squadra sempre più pop. I 20 azzurri che partono per la Germania sono dunque:
Portieri: Walter Zenga, Stefano Tacconi.
Difensori: Franco Baresi, Giuseppe Bergomi, Roberto Cravero, Riccardo Ferri, Ciro Ferrara, Giovanni Francini, Paolo Maldini.
Centrocampisti: Carlo Ancelotti, Luigi De Agostini, Ferdinando De Napoli, Luca Fusi, Giuseppe Giannini, Francesco Romano.
Attaccanti: Alessandro Altobelli, Roberto Donadoni, Roberto Mancini, Ruggiero Rizzitelli, Gianluca Vialli.
Lo stesso Gianluca ha recentemente riannodato i fili di quell’avventura.
Vialli lascia il segno e lo fa in una difficile sfida contro la Spagna, la seconda per la nazionale dopo il pareggio all’esordio con la Germania (1-1) condito dal gol e dall’esultanza polemica del gemello Mancini. Gli avversari erano le Furie Rosse di Emilio Butragueño, con molti giocatori che avevano già affrontato e battuto l’Italia di Vicini due anni prima, nella finale dell’Europeo Under 21 decisa ai calci di rigore.
Dopo una partita tirata, contro una Spagna arcigna e dalle ferree marcature sull’uomo, l’Italia orchestra una manovra che vede protagonista Ancelotti. Il centrocampista del Milan effettua un passaggio verso Altobelli venuto incontro. L’attaccante italiano, che in quella estate passava dall’Inter alla Juventus, effettua una efficace esca facendosi passare il pallone fra le gambe.
Il movimento di Spillo inganna non solo il suo marcatore (Andrinúa) ma anche quello di Vialli, (in quel momento Tomás, con il ct spagnolo Miguel Muñoz che aveva messo Sanchìs a francobollare il doriano).
Vialli è bravissimo a proteggere palla facendosela scivolare sul lato sinistro. Da lì Luca fa partire un tiro mancino (il suo piede presunto debole) ad incrociare, tanto preciso quanto di difficile esecuzione, come può testimoniare chiunque abbia provato ad eseguirlo su un qualunque campetto sterrato di periferia o dietro casa con gli amici.
Quell’esperienza europea, in un torneo a otto squadre, finì per sbattere sull’URSS di Valery Lobanovsky che si impose sull’Italia in una semifinale decisa dalle reti di Gennadiy Litovchenko e Oleg Protasov. Poco importa. È un’Italia giovane e bella. Anche noi lo siamo. L’infanzia è ancora lì, in una estate italiana che precede quella del 1990. Il cielo è sempre azzurro. Grazie Gianluca.

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