Il quarto di finale fra Argentina e Olanda (una battaglia culturale oltre che sportiva) ha sancito l’eliminazione della formazione Oranje dopo i calci di rigore. Non è bastata agli olandesi la doppietta di Wout Weghorst (il cui secondo gol è stato figlio di un azzeccatissimo schema su punizione al centesimo minuto dei regolamentari) per avere la meglio su Leo Messi e compagni.
Così, ancora una volta, la corsa dei Paesi Bassi verso il titolo viene interrotta dagli argentini e sempre nei tiri dagli undici metri: era già successo nel mondiale brasiliano del 2014, allora in semifinale.
Un déjà-vu per Louis van Gaal, alla guida di quella selezione come di questa che ha affrontato la spedizione qatariota. Le similitudini fra le due squadre non finiscono qui. Infatti, anche se quell’Olanda era dotata di maggior talento offensivo (disponendo dei vari Wesley Sneijder, Arjen Robben, Robin van Persie) lo stile di gioco adottato dal tecnico degli arancioni è rimasto lo stesso, improntato su marcatura a uomo, risalita del campo tramite i quinti e contropiede.
In fase di possesso poi l’Olanda ha spesso cercato di sfruttare il lato sinistro del campo, con Blind facente funzione di costruttore esterno, per sovraccaricare quel lato di campo in vista di una penetrazione o di un cambio di campo sul lato destro.
È, questa, una trasformazione sorprendente per chi era abituato ad un certo imprinting per quanto riguarda il calcio olandese (e infatti il tecnico si è attirato critiche da parte dei puristi del totaalvoetbal) e, soprattutto, per chi ricorda il primo van Gaal. Nato infatti come prosecutore del modello Ajax costruito da Rinus Michels, Kovacs e Cruyff, il settantunenne tecnico di Amsterdam è prima entrato in contrasto con l’antico maestro Johann (un rapporto di amore e odio calcistico) e, successivamente, a partire proprio dal 2014, ha commesso un parricidio nei confronti del calcio totale, abbandonando quel modello basato su 4-3-3 e 3-3-1-3, possesso, utilizzo di ali offensive che aveva permesso a van Gaal di riportare l’Ajax sul tetto d’Europa con la conquista della Champions 1995.
Lo stesso allenatore olandese ha recentemente dichiarato, proprio poco prima della sfida all’Argentina, che ‹‹nel 2014 ho cominciato a cambiare il modo di vedere il calcio. Oggi è più difficile giocare quel football offensivo come faceva l’Ajax venti anni fa. Il calcio non si gioca più come nel 1974 o nel 197, quando era un gioco aperto. Ora non lo è più››.
‹‹Quando ho iniziato a sviluppare un Sistema più difensivo, la gente mi ha criticato. Ma gli allenatori mi hanno seguito››.
E in effetti, se guardiamo alle quattro squadre che si sono qualificate per le semifinali di questa edizione della coppa del mondo, soltanto l’Argentina prova a fare la partita. Le altre tre nazionali (Marocco, Croazia e perfino la Francia), pur con modelli di gioco diversi sono accomunate da una proposta essenzialmente reattiva.
Anche il Brasile, rinunciando ai suoi tradizionali terzini assaltatori (come in passato lo sono stati i vari Jorginho, Branco, Cafu, Roberto Carlos o Dani Alves, per citarne alcuni) ha presentato una versione più accorta, con Danilo, Éder Militão e Alex Sandro che restavano bloccati in zona centrale per difendere sulle transizioni avversarie.
Quando visto contro l’Argentina è stato quindi in linea con la nuova Olanda di van Gaal. Già la partita degli ottavi con gli Stati Uniti era stata caratterizzata da un atteggiamento coperto, con i centrocampisti Frenkie de Jong, Marten de Roon e Davy Klaassen che marcavano a uomo i dirimpettai a stelle e strisce e con i due quinti pronti a irrobustire la linea arretra in fase difensiva e a spingere in avanti quando l’Olanda aveva palla.
Nella sfida ai sudamericani gli Oranje hanno avuto qualche problema iniziale a gestire un Romero troppo libero di impostare, con il difensore del Tottenham che riusciva a registrare 9 passaggi verso De Paul e 5 in direzione di Messi.

Detto questo e al di là degli sviluppi della partita con l’Argentina, compreso quello finale dei rigori al quale ha fatto seguito il faccia a faccia fra il tecnico olandese ed un Messi giustamente definito come mai così maradoniano prima d’ora, questa uscita dal Mondiale dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) aver segnato la fine della carriera di un van Gaal che si era già ritirato cinque anni fa prima di accettare di tornare nell’agosto dello scorso anno sulla panchina della nazionale in sostituzione della precedente gestione tecnica di Frank de Boer.
Quella che il tecnico lascia è una Olanda che ha utilizzato le armi che aveva a disposizione. Non potendo contare su grande reparto d’attacco (se si escludono un Memphis Depay fuori condizione e Cody Gakpo) van Gaal ha impostato una formazione più reattiva (con l’albiceleste il 43% del tempo trascorso in non possesso è stato fatto con un blocco medio o basso) per cercare poi di attaccare in campo aperto.
Il piano è parzialmente riuscito visto che la squadra ha registrato un dato di appena 0.87 non-penalty xG per 90 minuti. La versione più efficace offensivamente si è vista nel finale dei quarti quando van Gaal ha inserito Weghorst e Luuk de Jong con una mossa che ha ricordato l’Irlanda di Jack Charlton di fine anni 80 (con Tony Cascarino e Niall Quinn) e ha fatto parlare Messi di pelotazos (in pratica pallonate).
Dopo aver forgiato in passato giocatori come Dennis Bergkamp, Edgar Davids, Clarence Seedorf, i fratelli de Boer, Marc Overmans, l’eredità che ora van Gaal lascia dietro di sé appare meno florida per Ronald Koeman, il suo successore designato.
Qualcosa su cui lavorare comunque c’è, dai già citati Gakpo e Dumfries al portiere Andries Noppert, passando per Teun Koopmeiners, Nathan Aké, Kenneth Taylor fino alle grandi promesse Xavi Simons e Noa Lang.

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