L’ultimo turno di campionato sembra aver sentenziato che la lotta scudetto si sia ridotta ad una sfida cittadina fra le due milanesi. In questo momento i rapporti di forza sembrano privilegiare i nerazzurri, a detta di molti la squadra più forte.
In questo senso avrebbe ragione Stefano Pioli a lamentarsi perché i suoi giocatori godrebbero di ‹‹poco credito››. In realtà, questa minor sottolineatura delle individualità dei rossoneri non è altro che una ulteriore esaltazione del lavoro svolto fin qui dal tecnico emiliano con una rosa che, qualitativamente, sembra inferiore a quella dell’Inter ma anche a quella del Napoli (e della Juventus).
Proprio i partenopei sono, insieme all’Atalanta (e forse anche con la già citata Juve), fra le note negative della stagione per quanto riguarda i piani alti della classifica.
Lo scivolone di Empoli appare tanto più incredibile quanto più si considerino, oltre alla differenza tecnica fra le due squadre, anche il vantaggio momentaneo (0-2) costruito dagli azzurri a pochi minuti dal termine ed il fatto che i toscani non vincevano una partita dallo scorso 12 dicembre (0-1 proprio a Napoli).
Anche se degli aspetti psicologici di un gruppo è difficile parlare da fuori, appare evidente come la squadra di Spalletti si sia sciolta come neve al sole al momento di compiere l’ultimo sforzo per l’agognato traguardo scudetto (che manca dal 1990). Un punto fra Fiorentina e Roma (in casa) e Empoli (al Castellani) è troppo poco per una squadra alle prese con il rush finale per un titolo.
Checché ne abbia detto il tecnico a fine partita, il Napoli si era già arenato a pochi metri dal traguardo già con Sarri e con Gattuso (qualificazione Champions).
Semmai si può chiamare in causa Spalletti per due temi come la condizione fisica di alcuni elementi chiave (Zielinski, Fabian Ruiz), senza i quali la squadra fa fatica a girare, o sul fatto che spesso il Napoli abbia faticato a dettare il contesto per tutto l’arco di una gara.
La mancanza di un’alternativa di Lobotka (rilanciato proprio da Spalletti) o di qualità sugli esterni non dipendono certo dal lavoro del trainer di Certaldo.
L’altra squadra che sta attirando su di sé gli strali della critica è la Lazio di Sarri. Anche qui il giudizio tende al negativo, con il tecnico (anch’egli toscano) sul banco degli imputati. Anche qui però l’accanimento mediatico verso l’ex allenatore del Napoli appare eccessivo.
La squadra che Sarri ha ereditato da Simone Inzaghi è stata infatti sostanzialmente mantenuta e proviene da un ciclo caratterizzato da un modello di gioco completamente diverso rispetto a quello inaugurato dal nuovo allenatore biancoceleste.
Per questo motivo (e per le caratteristiche dei giocatori a disposizione) Sarri ha cercato dei compromessi rispetto alla propria idea di calcio, come d’altronde aveva già fatto durante le precedenti esperienze con Chelsea e Juventus.
Il risultato tuttavia è stato diverso. Mentre infatti tanto i blues quanto i bianconeri sarriani erano comunque risultati essere dei prodotti efficaci (tanto è vero che Sarri ha vinto una Europa League con i londinesi ed uno scudetto a Torino) questa Lazio appare un ibrido fra quella precedente di Inzaghi e quella che Sarri vorrebbe vedere.
Fra le tante cose che non vanno, quelle più evidenti riguardano la fase difensiva. I biancocelesti ad oggi hanno subito 50 reti (decima difesa del campionato) concedendo 45.14 xGA (undicesimi). Risultato di una difesa che ha fatto fatica ad assimilare la zona pura di Sarri ma anche di un centrocampo che spesso si è trovato in difficoltà al momento del non possesso.
L’altra grande questione difensiva riguarda il pressing. Difendere in avanti è una delle caratteristiche del gioco di Sarri. Questa Lazio invece si trova meglio quando può rimanere bassa, creando campo da risalire il contropiede.
Quando prova a pressare alto i risultati non sono lusinghieri: la squadra di allunga e concede spazi sia fra le linee che sul lato debole. La prima pressione spesso va a vuoto e questo costringe la squadra a ripiegamenti più o meno affannosi e a difendersi su posizioni di campo meno gradite al tecnico. Non a caso il PPDA della Lazio (12.94) è alto per una squadra di Sarri.

Sia Napoli che Lazio dovranno quindi prendere una decisione a fine stagione: continuare o no il progetto tecnico iniziato? Nel primo caso entrambe le società dovranno accontentare i rispettivi allenatori fornendo loro altri giocatori in grado di praticare un certo tipo di gioco. L’adattabilità degli allenatori al materiale umano a disposizione (un mantra spesso ripetuto da coloro che sono critici verso alcuni tecnici) è un principio valido ma che a volte cozza con il limite di rose ibride, incomplete sia per fare un certo tipo di calcio che il suo opposto.
Dalla soluzione di queste questioni potrebbe passare molto del futuro prossimo di Napoli e Lazio.

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