Il mondiale 2006 ha segnato il ritorno dell’Australia nella massima competizione calcistica dopo un’assenza che durava dal 1974. In tutte le edizioni precedenti, i Socceroos avevano mancato la qualificazione. Tuttavia, nel 1993 il sogno di tornare alla coppa del Mondo sembrava finalmente vicino a concretizzarsi.
La nazionale dei canguri era guidata dallo scozzese Eddie Thomson, che aveva a disposizione una generazione di talenti come non si vedeva appunto dalla positiva campagna di qualificazione per il mondale tedesco del 1974. Giocatori come Ned Zelic, Aurelio Vidmar, Frank Farina, Graham Arnold e Robbie Slater permisero all’Australia di superare agevolmente le qualificazioni oceaniche (battendo in finale la Nuova Zelanda).
Qualche patema in più i Socceroos lo soffrirono invece nel turno successivo, quando gli uomini di Thomson riuscirono ad avere la meglio sul Canada solo ai calci di rigore, nell’agosto del 1993. Il complesso sistema di qualificazioni al mondiale statunitense del giugno successivo prevedeva però per l’Australia il superamento di un ulteriore e definitivo turno.
Questo turno avrebbe visto gli australiani affrontare l’Argentina, sorprendentemente costretta al playoff da un pessimo girone di qualificazione sudamericano, che aveva visto l’Albiceleste umiliata a domicilio dalla Colombia (0-5).
Per guadagnarsi il passaporto ad Usa 94 ed evitare così una clamorosa eliminazione, l’Argentina decise di fare ricorso al suo calciatore più rappresentativo (ancorché non più nel prime della sua carriera) vale a dire Diego Armando Maradona.
Reduce da una squalifica di 15 mesi a causa della positività che lo aveva costretto a lasciare in fretta e furia l’Italia nel marzo del 1991, Maradona era tornato da poco al calcio giocato col Siviglia, dopo un intervento diretto della Fifa per favorire la risoluzione del contratto dell’argentino col Napoli. Infatti, con i mondiali del 1994 a rischio flop in termini di audience televisiva, e con la ferma volontà di Blatter di lanciare il soccer negli Stati Uniti, il massimo organismo calcistico internazionale decise di giocarsi la carta della presenza al torneo della sua stella più mediatica, adoperandosi appunto per liberarlo dal precedente contratto che el pibe de oro aveva ancora in essere con i partenopei.
Con el más grande pronto al rientro con la nazionale, gli occhi del mondo vennero immediatamente rivolti a Sydney, sede scelta per l’andata dello spareggio con l’Australia.
Le due settimane trascorse da Diego dall’altra parte del mondo non misero soltanto il paese oceanico al centro dell’universo calcistico internazionale, ma rappresentarono anche un grande spot pubblicitario per il calcio australiano. ‹‹Penso che [Maradona] abbia portato il calcio qui per la prima volta›› ha ricordato Arnold.
La squadra per affrontare l’Argentina era pronta. Mark Bosnich, portiere dell’Aston Villa, assente nelle sfide col Canada, era tornato per difendere i pali australiani. La coppia centrale era costituita da Alex Tobin e Milan Ivanovic con i terzini Tony Vidmar e Mehmet Durakovic ai loro lati.
A metà campo vennero schierati Robbie Slater e Van Blerk sulle fasce con Zelic e Paul Wade interni, quest’ultimo chiamato proprio con il compito specifico di incollarsi a Maradona. Davanti, la coppia d’attacco era composta da Aurelio Vidmar e Arnold.
Questa fu la formazione che scese in campo il 31 ottobre 1993 davanti ai 43.967 spettatori presenti nel vecchio Sydney Football Stadium, la cui capacità massima era stimata in 41.159 posti.
La maggior parte della gente non era lì per vedere la più grande partita nella storia del calcio australiano da quelle disputate in Germania nel 1974 quanto per osservare da vicino Maradona, 33 anni compiuti il giorno prima.
La partita fu un classico match anni ’90: immediata ricerca immediata della profondità, scontri fisici a tutto campo, gioco sul compagno che vedo.

L’Australia giocò una buona prima frazione, collezionando una serie di calci d’angolo. A brillare fu soprattutto Slater, che mise in crisi da destra la retroguardia argentina. A centrocampo la coppia composta da Zelic e Wade resse bene l’urto della mediana sudamericana, col capitano dei Socceroos che riuscì a contenere Maradona, schierato a ridosso di Balbo (al quale toccherà spesso il compito di tornare per aiutare i centrocampisti in fase difensiva) e Batistuta.
Questo almeno fino al 37esimo minute quando el diez si liberò del suo marcatore riuscendo a mettere in mezzo un assist che Balbo trasformò nel gol del vantaggio per l’Argentina.
La squadra di Thomson riuscirà comunque a pareggiare subito con Slater dando un senso (almeno sulla carta) alla sfida di ritorno, in programma al Monumental di Buenos Aires il 17 novembre.
L’Albiceleste parte forte e comincia a collezionare alcune interessanti occasioni. Ma non riesce a segnare e, al termine dei primi quarantacinque minuti, il risultato è ancora di 0-0. La situazione si protrasse anche nella ripresa, fino al 15esimo quando un cross argentino venne deviato da Alex Tobin nella propria porta.
L’Australia venne eliminata, l’Argentina andò in America e il resto è storia (il gol di Maradona alla Grecia, la nuova squalifica…).
Per i Socceroos quelle partite, soprattutto l’andata, hanno rappresentato la possibilità di vedere da vicino ‹‹the best player to ever play the game››. Per il calcio locale, quella di tornare sulla mappa sportiva di un Paese dominato da cricket, rugby league e football australiano. Per Robbie Slater, l’opportunità di scambiare la maglia con Diego.