La spettacolare finale fra Argentina e Francia ha chiuso il controverso Mondiale qatariota incoronando Lionel Messi (e anche Kylian Mbappé) e portando i sudamericani sul tetto del mondo. Come per ogni avvenimento storico, è troppo presto per stabilirne il grado di impatto e di bellezza. Se, cioè, si sia trattato della più bella coppa del mondo di sempre oppure no.
Di certo la finale ha fatto e farà discutere per come si è sviluppata, per quella somiglianza con quella del 1986 (e torniamo al paragone fra Messi e Diego Maradona) con l’Argentina in doppio vantaggio, rimontata e che chiude la partita all’ultimo tuffo (allora nei regolamentari, stavolta dopo i rigori) laureandosi per la terza volta campione e per la terza volta con grande sofferenza (nel 1978 gli argentini ebbero la meglio dell’Olanda solo ai supplementari e dopo il palo colpito da Rensenbrink nel finale).
Ma le discussioni verteranno anche sulla gestione della partita da parte delle due panchine, con Lionel Scaloni che l’ha preparata benissimo, salvo poi lasciarsela scivolare dalle mani con la sostituzione di Ángel Di María, l’inserimento di un altro terzino (Marcos Acuña) e la rinuncia a quella pressione forte che aveva caratterizzato la sua squadra per settanta minuti (e che aveva messo in difficoltà i transalpini) e con Didier Deschamps che invece ha rivoltato la squadra come un calzino riprendendo un confronto che ad un certo punto sembrava già chiuso in favore dell’Argentina.
Da questo punto di vista, abbiamo visto una Francia a più facce. Inizialmente il tecnico dei blues ha presentato il consueto 4-3-3 con Adrien Rabiot e Antoine Griezmann mezzali ai lati di Aurélien Tchouaméni e con Mbappé a sinistra a formare un tridente completato da Olivier Giroud e Ousmane Dembélé.
Questa scelta iniziale non si rivelava azzeccata e questo non solo per la pressione argentina di cui sopra, ma anche per una generale lentezza dei francesi nel muovere palla quando in possesso. In non possesso inoltre il piano tattico predisposto da Scaloni, che prevedeva Messi a gravitare nella sua comfort zone (il mezzo spazio destro) fra Rabiot e Dayot Upamecano, sul lato sinistro di Tchouaméni, creava non pochi problemi ad una fase difensiva non molto compatta fra le linee (verticalmente) e nemmeno fra giocatore e giocatore (orizzontalmente).

Tanto è vero che la linea di passaggio da Rodrigo De Paul a Messi ha prodotto 10 palloni diretti dal centrocampista dell’Atlético Madrid al capitano dell’albiceleste.
All’altezza del quarantunesimo minuto del primo tempo, quando i buoi sembravano ormai essere scappati dalla stalla, Deschamps ha ribaltato la squadra, facendo uscire Giroud e Dembélé per far posto a Marcus Thuram e Randal Kolo Muani, con il conseguente spostamento di Mbappé al centro dell’attacco.
L’idea sembrava essere soprattutto quella di ridare equilibrio difensivo alla squadra per cercare di arrestare l’ondata argentina prima di provare a cercare il modo di replicare. L’uscita di Giroud è stata particolarmente strana dato che, in difficoltà sul piano della manovra, i galletti avrebbero potuto appoggiarsi alla palla lunga sull’attaccante del Milan per provare a risalire il campo.
Inizialmente le sostituzioni non davano l’effetto sperato, con l’Argentina sempre padrona del campo. Così come non sembrava funzionare il cambiamento apportato da Deschamps a inizio ripresa col passaggio ad un 4-2-3-1 che vedeva Griezmann agire da no.10 alle spalle di Mbappé.
A quel punto, tentando il tutto per tutto il tecnico transalpino toglieva l’ex Barcellona inserendo Kingsley Coman e passando ad un 4-2-4. La partita si apriva, contestualmente al già citato cambio argentino Acuña per Di María (avvenuto qualche minuto prima) e all’abbassarsi dell’intensità e dell’altezza della pressione della squadra di Scaloni. La finale diventava così un videogame nel quale dominavano Messsi e Mbappé.
Come giudicare allora la gestione della sfida da parte della panchina dei galletti? È vero che i cambi finali di Deschamps hanno coinciso con la rimonta dei campioni in carica (che si sarebbe potuta concretizzare in un trionfo se Kolo Muani non si fosse fatto ipnotizzare da Emiliano Martínez alla fine dei tempi supplementari), ma è difficile stabilire quanto merito ci sia in queste sostituzioni e quanto invece si debba addebitare alle scelte di Scaloni e al mutato atteggiamento dell’Argentina, passata in modalità gestione sul risultato di 2-0.
Se andiamo ad analizzare nel dettaglio le scelte di Deschamps, oltre al cambio di Giroud in un momento in cui forse sarebbe servito tenerlo in campo, lascia perplessi anche la decisione di togliere Griezmann. Anche l’idea di Eduardo Camavinga terzino sinistro al posto di Theo Hernández (pur opaco) non ha convinto, così come la scelta di tenere in campo un Raphaël Varane indeciso in occasione del terzo gol dell’Argentina. Per non parlare poi di Jules Koundé, in costante affanno su Di María.
In generale, al di là del titolo vinto in Russia nel 2018 e di quello sfiorato in Qatar, tutta la gestione di Deschamps è sembrata aver tolto qualcosa (più che aver dato) ad una straordinaria generazione di talenti che alla fine ha perso contro un Portogallo non irresistibile la finale dell’Europeo 2016, è uscita in malo modo (eliminata dalla Svizzera) in quello dell’anno scorso, è stata superata sul piano del gioco dall’Inghilterra, contenuta dal Marocco e messa sotto per settantacinque minuti dall’albiceleste in questo torneo.
L’intensità mostrata dai ragazzi di Scaloni ha mandato per aria il tradizionale piano tattico del tecnico francese, fondato su una difesa posizionale bassa e su una gestione senza acuti della palla in attesa di comunicarla ai talenti del reparto avanzato.
Probabilmente l’influenza che ha colpito la truppa tricolore alla vigilia della finale non ha giovato. La Francia però sembra aver sprecato l’occasione per una storica doppietta mondiale. È vero che questo discorso vale anche per altre nazionali presenti in Qatar, ma nessuna (eccetto forse il Portogallo) aveva tanto talento e tanta profondità come la squadra di Deschamps (e questo nonostante assenze pesanti come quelle di Paul Pogba e N’Golo Kanté).

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