La sfida fra Germania e Spagna è stata probabilmente la più bella e interessante fra tutte quelle disputate finora nella fase a gironi del mondiale del Qatar. I novanta minuti hanno offerto tanti spunti tattici: dalla presenza in entrambe le squadre di un falso nueve al pressing alto portato sia da spagnoli che da tedeschi, questi ultimi con particolare costrutto dato che i due riferimenti più avanzati (Thomas Müller e lkay Gundogan) sono stati efficaci nel contrastare il triangolo costruttivo spagnolo, formato da Rodri, Aymeric Laporte e Sergio Busquets (con l’aggiunto di Unai Simón in appoggio).
Tutto questo, arrivando fino al fatto che ha decidere l’incontro sono state le reti di due centravanti (Álvaro Morata e Niclas Füllkrug), inseriti da Luis Enrique e Hansi Flick per dare più peso alla manovra offensiva.
Entrambe le mosse, più che dal futuro sono venute dal classico manuale del calcio, con il tecnico spagnolo che ha mandato in campo Morata per Torres dopo dieci minuti dall’inizio della ripresa (l’ex juventino ripagava poco dopo la mossa di Luis Enrique segnando da vero attaccante su una palla esterna messa in mezzo da Jordi Alba) e con Flick che rispondeva con una mossa logica che, oltre al centravanti del Werder Brema, lo vedeva spedire in campo anche Lukas Klostermann come terzino ultra-offensivo.
Ma, al di là di questi aspetti, la considerazione non marginale è che le mosse tattiche presentante sia dalle Furie Rosse che dalla Mannschaft sono state simili perché, ad affrontarsi, sono state due filosofie di gioco identiche.
A riprova del fatto che non esistono più scuole calcistiche nazionali (tedesca, italiana, spagnola, brasiliana, inglese…) quanto invece filosofie di gioco, alle quali ogni squadra può attingere liberamente, Spagna e Germania hanno presentato lo stesso spartito, figlio di quel calcio che da Cruyff va fino a Guardiola.
Tutte e due compagini di possesso, tutte e due formazioni da gegenpressing, tanto la Spagna quanto la Germania hanno mostrato una identità simile. D’altronde sia Luis Enrique che Flick sono figli di quel calcio barcelloniano di cui sopra. Questa versione della Germania lo è ancora di più di quella presentata in passato da Jogi Löw.
Anzi, ad essere più tedesco (nel senso di pragmatico) è stato probabilmente Luis Enrique quando ha inserito Nico Williams per Marco Asensio (per sfruttare il contropiede) e Koke por Gavi (per far legna a metà campo). Diversamente dalle Germanie del passato però, la Spagna ha fatto fatica senza pallone.
Alla fine quindi la domanda che lascia sul terreno questa partita sono due. La prima riguarda il fatto se queste due compagini possano giocare senza un vero attaccante centrale. Luis Enrique ha detto che in realtà un centravanti la Selección lo presenta sempre, solo con diverse caratteristiche. È certamente vero, come è vero che una punta come Morata dia delle soluzioni che altre scelte non possono offrire. Bisognerà quindi vedere nel prosieguo del torneo quanto convenga affidarsi ad un Asensio (o a un Müller per la Germania) oppure ad un Morata (oppure a Füllkrug dall’altra parte della barricata).
L’altra domanda invece riguarda invece l’evoluzione di due delle pretendenti accreditate alla vigilia per la vittoria finale. La Spagna può e deve migliorare (come detto anche senza palla) rimanendo fedele a se stessa.
Per quanto riguarda invece gli uomini di Flick, non converrebbe mixare quanto appreso negli anni del famoso reboot con qualcosa di più tradizionale?

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