Al di là della partita Analisi tattica Ritorno al passato

Come eravamo: ti ricordi la Corea?

Il 18 giugno 2002 venne scritta una delle pagine più nere della storia calcistica italiana, vale dire quella riguardante la sconfitta subita ad opera della Corea del Sud nel mondiale nippo-coreano.

Molto si è detto e scritto di quella partita (e dell’intero torneo), sia il giorno dopo sia nei mesi successivi mentre il nome dell’arbitro, l’ecuadoregno Byron Moreno, divenne subito sinonimo di direzione controversa, per non dire altro.

Meno si è detto di come venne gestita quella spedizione e di come venne preparata una squadra zeppa di talento (tanto è vero che alcuni dei protagonisti di quella fallimentare esperienza saranno fra gli artefici della vittoriosa campagna tedesca di quattro anni dopo) che finì per arenarsi agli ottavi di finale contro la Corea dopo aver iniziato il torneo all’insegna di una sopravvalutazione degli avversari (elemento caratteristico, insieme alla sua contraria sottovalutazione, di un carattere calcistico italico ben lontano dall’ideale greco di equilibrio) che finì per far scendere in campo gli Azzurri più preoccupati per le qualità della squadra rivale che consapevoli delle forze di cui disponevano (i vari Totti, Nesta, Del Piero, Gattuso…).

Tanto è vero che la vigilia del torneo fu contrassegnata dalla retromarcia del commissario tecnico Giovanni Trapattoni il quale, dopo aver approcciato il torneo provando nei mesi precedenti una formazione maggiormente proattiva, per trovare spazio ai fantasisti della compagine azzurra (Totti, Del Piero e Doni ma non Roberto Baggio, lasciato a casa fra le polemiche della stampa e dei tifosi) finì per ripiegare su un più quadrato (e reattivo) 4-4-2, utile sia per contenere le folate dello spauracchio de la Cruz sia per calmare la paura del Trap di far perdere equilibrio alla squadra.

Alla luce della vittoria contro i sudamericani, quella che doveva essere una soluzione momentanea (in quanto da sostituirsi con una formazione che doveva prevedere una difesa a tre con un centrocampo più folto o, come voluto da una parte della critica, con una che schierasse Totti alle spalle di due punte) venne invece riproposta nella sciagurata sconfitta subita ad opera della Croazia in una partita rispetto alla quale solo pochi (fra cui il grande Gianni Mura) puntarono il dito sulla retromarcia cautelativa di Trapattoni più che sugli errori del guardalinee, che fece annullare due reti agli Azzurri.

Si arriva così, dopo il pareggio contro il Messico (determinante, insieme all”incapacità della Croazia di superare l’Ecuador, per garantire all’Italia il passaggio del turno) alla sfida contro una delle nazionali padrone di casa. Di tutto quello che successe ne è ancora piena la Rete, anche se all’indomani della débâcle coreana fu ancora Mura a sottolineare come gli errori gravi dell’arbitro siano arrivati ai supplementari, dopo novanta minuti nei quali l’Italia avrebbe dovuto imporre il proprio, superiore, tasso tecnico.

Giova inoltre ricordare che gli Azzurri si divorarono alcune evidenti palle gol, sia sull’ 1-0 a proprio favore che nei supplementari (clamorosa quella di Vieri).

Al di là degli episodi, l’intera gara venne condotta male da una Italia intimorita sia dall’ambiente ostile (d’altra parte si giocava sul campo di uno dei Paesi ospitanti) che dall’eccesso di accortezza difensiva di una compagine ancora una volta più preoccupata di non prenderle che di darle.

Non a caso Totti e Del Piero, contemporaneamente in campo nel tridente italiano, davano solo apparentemente una immagine più offensiva della nazionale, visto che entrambi arretravano spesso in copertura per conferire al sistema disegnato da Trapattoni l’aspetto di una classica disposizione con dieci uomini costantemente sotto palla a coprire gli spazi e cercare poi di lanciare palla in avanti, sperando che Vieri (e chi fosse stato in grado di accorciare verso di lui) fosse poi in grado di risolverla.

Quando poi, dopo un’ora di gioco, il Trap richiama Del Piero per inserire Gattuso, il segnale appare chiaro sia per gli Italiani che per i Coreani: la nazionale azzurra arretra per cercare di colpire solo in contropiede. Anche il successivo cambio fra Zambrotta (ai tempi ancora un tornante) ed il più difensivo Di Livio seguì tale logica.

Si arriva poi ai supplementari dopo la tradizionale fase di difesa da fortino assediato degli azzurri (trafitti a due minuti dalla fine dal gol del pareggio di Seol Ki-hyeon su errore di Panucci) e, successivamente, al golden goal segnato da Ahn Jung-hwan in elevazione su un non irreprensibile Maldini.

L’errore di Panucci a due minuti dal termine dei tempi regolamentari.

Se demerito vi fu da una parte, dall’altra non va trascurato il grande lavoro fatto da Guus Hiddink con la Corea. Indipendentemente dagli aiuti arbitrali ricevuti (clamorosi quelli ai danni della Spagna) con la nazionale asiatica il tecnico olandese confermò la sua capacità nell’adattare i principi del calcio olandese al materiale tecnico a disposizione.

Supportati da una grande condizione fisica (merito del lavoro del preparatore olandese Raymond Verheijen) i Coreani adottavano un 3-4-3 piuttosto fluido per i tempi, con uno dei centrocampisti centrali che si alzava per andare a formare una struttura 3-3-1-3 in possesso.

L’accento veniva posto su un pressing alto difficile da gestire in quel periodo storico, dato che non si trattava di una tattica difensiva così diffusa come invece lo è nel calcio attuale. A questo aspetto si accompagnava la velocità di esecuzione e l’idea di riversarsi avanti con diversi uomini una volta entrati in possesso di palla.

Tutto questo, nonostante un livello non elevatissimo (ma c’erano comunque giocatori validi in quella squadra come, oltre al già citato Ahn, i vari Hong Myung-bo, Park Ji-sung o Lee Young-pyo) contribuì a far raggiungere alla Corea un inatteso quarto posto finale.

Per l’Italia la grande delusione di essere eliminati con una squadra che poteva essere protagonista e da un avversario che quasi tutti, alla vigilia della sfida, davano (colpevolmente) per facile da affrontare.

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