Ci risiamo. In un Paese nel quale il risultato è l’unica cosa che conta e dove manca l’equilibrio, ad una partita andata bene nel punteggio corrisponde una nuova fase di esaltazione collettiva e acritica. Il tutto in attesa del prossimo rovescio.
In questo senso, il pareggio ottenuto dalla nuova Italia di Mancini in Nations League contro la più quotata Germania ha assunto immediatamente i contorni dell’elogio oltre ogni misura del ct (definito da alcuni un ‘visionario’) e dell’innalzamento di Wilfried Gnonto a nuovo eroe nazionale e salvatore della patria (calcistica).
Sperando che il prodotto del settore giovanili dell’Inter realizzi quanto promette, giova ricordare che il 18enne attualmente in forza allo Zurigo è stato in pratica costretto a varcare le Alpi per trovare all’estero quelli spazi che li erano preclusi in Italia.
La prestazione offerta contro i Tedeschi a partire dal momento del suo ingresso in campo al 65’ ha quindi sollevato di nuovo l’annosa questione dei giovani nel calcio italiano. Se è vero come è vero che gli Italiani hanno poco spazio nella nostra serie A e che, a livello di settore giovanile nazionale, si sta lavorando bene da qualche stagione, appare altrettanto evidente come debbano essere presi in considerazione almeno altri due fattori in un’analisi più approfondita della questione.
Il primo è quello relativo all’ultimo step, l’ultimo gradino che i nostri ragazzi devono compiere prima di essere pronti per il salto fra i grandi. Così come sono tre cose diverse il giocare a carte l’estate col nonno, il vincere il torneo del circolino e l’essere un campione a Las Vegas è altrettanto chiaro come far bene a livello delle varie Under non significhi poi automaticamente essere in grado di reggere in un contesto superiore.
A molti dei prodotti dei nostri vivai mancano minuti importanti nella massima serie ma bisognerebbe anche chiedersi se questo sia colpa solo del poco coraggio di club e allenatori o anche della difficoltà del sistema di trovare (se c’è), selezionare o preparare il talento per il livello più alto.
A questa considerazione andrebbe legata quella relativa ai giovani che vanno all’estero. Sono ancora pochi infatti quelli che scelgono di mettersi in gioco fuori confine invece che rimanere legati alla casa madre girando come prestiti nelle categorie inferiori.
Detto questo, la speranza è che la nidiata dei Tonali, Pobega, Raspadori, Scamacca, Frattesi, Bastoni e Locatelli produca una ossatura in grado di garantire alla nazionale azzurra un pronto riscatto dopo le due consecutive mancate qualificazioni alle fasi finali del mondiale (intervallate dall’impresa a Euro 2020).
Tornando alla sfida di Bologna, Mancini ha presentato il classico 4-3-3 come sistema base, con una impostazione più reattiva che propositiva, soffocata dal possesso palla teutonico (65%). Nonostante ciò, alla fine l’Italia è risultata più pericolosa degli avversari.
Da parte loro i Tedeschi hanno affrontato l’incontro fedeli a quel modello di calcio fluido e posizionale che hanno abbracciato fin dai tempi di Jürgen Klinsmann e Joachim Löw e che è poi passato dal confronto con pep Guardiola.

All’interno di questa struttura fluida la manovra offensiva è stata caratterizzata da diverse costruzione ma sempre con un gran numero di invasori oltre la prima linea difensiva azzurra.

Pur catalogabile come calcio estivo, questa partita di Nations League ha comunque dato qualche indicazione per il futuro a breve termine. La prima è che, in Scamacca, l’Italia potrebbe aver trovato quel centravanti associativo (6 passaggi chiave ricevuti) utile per il gioco di Mancini, con quelle caratteristiche di collegamento con i compagni vanamente ricercate in Immobile e Belotti.
La seconda riguarda Pellegrini. Il no.10 azzurro è stato probabilmente il migliore in campo al Dall’Ara (3 passaggi chiave prodotti, tutti assist), anche se confinato sulla sinistra come zona di partenza. Il romanista ha dimostrato poi di dare il meglio di sé accentrandosi in zona di rifinitura, dove ha potuto espletare al meglio le funzioni di chance creator.
Con Scamacca che veniva incontro e con Pellegrini che tagliava nel mezzo l’Italia finiva per assumere una sistemazione sbilenca a destra, dove Politano risultava il giocatore più avanzato degli azzurri a livello di posizionamento medio.

In un prossimo passaggio, tenendo presente la lista dei selezionati per la partita con la Germania, non sarebbe azzardato pensare ad una diversa disposizione di partenza per il centrocampo azzurro, una che possa prevedere Pellegrini a ridosso di due attaccanti e con un centrocampo a tre a supporto (Frattesi, Cristante e Tonali limitandosi all’undici iniziale di Bologna).
Al di là dell’atteggiamento, a cambiare sarebbe anche il riempimento della zona di rifinitura centrale, non più uno spazio da riempire e svuotare (come nel 4-3-3) ma una porzione di campo che, di partenza, vedrebbe già un elemento agire in zona 14.
A garantire l’ampiezza sarebbero un Frattesi o un Barella a destra, Biraghi e l’attaccante di parte a sinistra. L’alternativa sarebbe un 4-2-3-1 che permetterebbe di conservare il gioco sulle fasce con giocatori già di partenza in quelle posizioni. Nel caso, sarebbe da individuare una mediana a due funzionale. Staremo a vedere in che direzione si muoverà Mancini e, soprattutto, se le promesse del nostro campionato si confermeranno a livello internazionale.

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