La vulgata classica in voga in queste settimane parla di un Vlahović in difficoltà. Il recente pianto, che ha fatto seguito alla sostituzione avvenuta durante la partita col Genoa, ha fatto parlare di crisi del giocatore, attribuita al gioco di Allegri che non sarebbe in grado di esaltare il talento del serbo.
Prima di addentrarci in un tentativo di analisi del momento dell’ex viola conviene però guardare qualche numero. La tabella qui di seguito riporta qualche dato interessante per andare in profondità nella questione Vlahović.

Nella prima parte di stagione, trascorsa in riva all’Arno, il servo viaggiava alla media di 0.58 reti a partita (rigori esclusi) contro lo 0.53 dal momento del suo arrivo a Torino.
I dati in termini di expected goals (xG) continuano a essere simili, così come i tiri prodotti a partita dal serbo. Addirittura, i tocchi in area avversaria sono cresciuti, seppur di poco. In pratica, il Vlahović bianconero viaggia su ritmi simili a quello visto a Firenze fino a gennaio.
Eppure, la percezione è quella di un giocatore che non sta producendo. Questa percezione è probabilmente figlia del fatto che l’acquisto di Vlahović aveva portato con sé l’idea che (da solo) questo acquisto sarebbe bastato a migliorare la produzione offensiva di una Juventus la quale, ad oggi, risulta avere il nono attacco del campionato in termini di reti realizzati (55) e l’ottavo per gol attesi (58.64 secondo i dati soccerment).
Se dividiamo in due parti il campionato della Juve, prima di Vlahović i bianconeri producevano una media di 1.60 NPxG a partita (modello understat). Attualmente invece il dato è di 1.46.
In pratica, l’analisi che ne viene fuori fa pensare ad un club che ha speso molto per accaparrarsi le prestazioni di un giocatore che, da solo, non ha migliorato la fase offensiva della squadra.
Numeri simili nonostante il diverso utilizzo che del giocatore ha fatto Italiano rispetto a quanto stia facendo Allegri.
A Firenze infatti Vincenzo Italiano ha costruito una squadra che cerca di dettare il contesto tattico tramite il controllo del pallone, settando il possesso tramite una struttura di base 4-3-3 che basa molto del proprio gioco offensivo sulla risalita del campo tramite le catene esterne. Contro squadre che venivano a prendere forte la Fiorentina, con pressione in avanti 1c1, la soluzione alternativa alla costruzione bassa prevedeva il lancio diretto per Vlahović, col serbo che aveva il compito di mettere giù palla per associarsi poi con i compagni nell’altra metà campo. Cosa quest’ultima che gli veniva richiesta anche in situazione di attacco posizionale contro blocchi bassi. La rifinitura poi veniva affidata per la maggior parte ai cross.
In questo contesto, a Vlahović veniva richiesto di lavorare spesso spalle alla porta e di svolgere un lavoro associativo fra le due catene. Lavoro che il serbo ha svolto bene finché è rimasto in viola, crescendo anche dal punto di vista del mantenimento del possesso della palla e del gioco appunto spalle alla porta.
Con le sue qualità il 22enne belgradese aveva finito per nascondere alcuni limiti in fase offensiva della squadra di Italiano.
Arrivato a Torino, il nuovo attaccante bianconero ha trovato un contesto che, per certi versi, può agevolarlo. La Juve di Max Allegri è infatti compagine che predilige difendersi bassa, di posizione, all’interno di una struttura 4-4-2 nella quale Vlahović va a comporre la prima linea difensiva della squadra insieme ad un compagno di reparto.
Pur cambiando le caratteristiche del partner offensivo (Dybala o Morata), in maglia bianconera Vlahović ha più possibilità di attaccare in campo aperto, cioè di sfruttare una delle sue doti migliori.
La finale di coppa Italia con l’Inter ha confermato l’impressione di un Vlahović che, in questo momento, si esprime meglio con campo davanti. Lo si è visto in occasione della rete realizzata dal serbo.
Nonostante quindi la differenza di utilizzo da parte di due tecnici dalle filosofie diverse, i numeri prodotti da Vlahović in questa seconda metà di stagione a Torino sono simili a quelli della prima metà fiorentina.
Questo risultato deriva da una non ancora completa maturazione di un attaccante che, per la prima volta in carriera, si trova a giocare in una società con obiettivi alti come la Juve o (e qui torniamo alle critiche iniziali) da uno sfruttamento non consono del calciatore da parte dello staff tecnico?
Difficile rispondere con certezza.
Contro l’Inter, nel già citato ultimo atto di coppa, Vlahović ha registrato 9 tocchi nell’area di rigore avversaria. Pur tenendo conto del fatto che la partita ha avuto l’aggiunta dei tempi supplementari, sono comunque più tocchi rispetto a quelli registrati in media dal serbo nell’intera stagione di serie A in corso (4.95), comprendendo dunque sia la prima metà in viola che questa seconda parte in bianconero. E sono anche di più della media tocchi per 90 minuti di gioco registrata da Duvan Zapata, leader di questa classifica con 7.04.
La strada da seguire è quindi quella che passa da un maggior coinvolgimento dell’attaccante serbo nelle zone calde dell’attacco, cercando di armarlo il più possibile fronte alla porta avversaria, indipendentemente dall’altezza della zona di recupero palla.

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