L’andata degli ottavi di finale fra Manchester City e Sporting si è rivelata meno complicata del previsto per la squadra di Pep Guardiola.

Eppure, le premesse erano altre. Guidati dall’ottimo Rúben Amorim i portoghesi infatti hanno costruito nel tempo una compagine in grado di tornare sulla vetta del calcio lusitano e di riaffacciarsi alla fase ad eliminazione della più importante competizione europea per club dopo molti anni (2008/09).
Sul campo invece i Citizens, guidati stavolta da un core di giocatori cresciuti nel Benfica (Ederson, Bernardo Silva, Rúben Dias e João Cancelo) hanno subito impresso il loro calcio, spegnendo sul nascere ogni velleità dei portoghesi.
Per far ciò, Guardiola ha costruito l’ennesimo piano gara funzionale alle caratteristiche dell’avversario, a riprova della capacità di studio e di analisi del tecnico catalano e del suo staff.
L’ex allenatore di Barcellona e Bayern ha mandato in campo un 4-3-3 di base che prevedeva Phil Foden nelle funzioni di falso nueve, con Riyad Mahrez (destra) e Raheem Sterling (sinistra) a completare il tridente offensivo.
I tre di centrocampo erano Kevin De Bruyne, Rodri e Bernardo Silva mentre in difesa era John Stones, da terzino destro, a completare il reparto con Rúben Dias, Aymeric Laport e Cancelo.
In generale, pur mantenendo alcune sue proprie peculiarità, il modello di gioco presentato dal City all’Estádio José Alvalade ha previsto una struttura più ‘tradizionale’, puntando cioè ad una occupazione degli spazi canonica per un 4-3-3 con un finto centravanti.

Lo scopo di questa dislocazione base era quello di allargare il più possibile le maglie difensive di uno Sporting che, in non possesso, andava a giocare con un 5-4-1 stretto che prevedeva i due esterni di centrocampo (Pedro Gonçalves e Pablo Sarabia) molto all’interno del campo, a lavorare nei mezzi spazi di competenza.
Questo atteggiamento finiva per creare linee di passaggio verso le mezzali Silva e De Bruyne consentendo loro di poter ricevere palla in zona di rifinitura e di attaccare la linea difensiva della squadra di Amorim.
In fase difensiva il City ha mantenuto il solito atteggiamento aggressivo, sia in situazione di pressing che di riaggressione a palla persa. In questo modo, grazie anche ad un esteso controllo del pallone (63%) che ha minimizzato il tempo di possesso avversario, il City è riuscito anche ad evitare guai difensivi nonostante qualche pallone perso di troppo (71).

L’unico giocatore a mettere un po’ in difficoltà gli uomini di Guardiola è stato il laterale Pedro Porro, autore di alcune interessanti sgroppate sulla destra.
Alla fine Guardiola ha rifiutato la definizione di prestazione perfetta affibbiata ai suoi, sottolineando, sottolineando appunto le troppe palle perse (‹‹esiste una regola nel calcio quando hai la palla e questa è di non perderla››) e la capacità della propria squadra di essere stata letale sotto porta (‹‹la differenza fra le due squadre non è 5-0 ma noi siamo stati molto cinici››).
Le capacità individuali dei giocatori del City, particolarmente in sede di finalizzazione, non devono comunque far passare in secondo piano una organizzazione tattica perfettamente preparata da Pep e poi sapientemente messa in pratica dalla squadra.