Una delle neopromosse al via in questa stagione (al ritorno in massima serie dopo 19 anni di assenza), il Venezia si è avvicinato a questo campionato utilizzando in sede di mercato estivo un approccio basato molto sull’analisi dei big data, che ha permesso ai lagunari di mettere a disposizione di Paolo Zanetti una compagine eterogena composta inizialmente da molte scommesse come gli statunitensi Ginaluca Busio e Tanner Tessmann, l’israeliano Don Peretz, l’austriaco Michael Svoboda, il surinamese Ridgeciano Haps, il gallese Ethan Ampadu, il francese Thomas Henry.
A questi elementi ne sono stati aggiunti altri di maggior esperienza (da Mattia Caldara a David Okereke fino a Sergio Romero) per creare un mix che possa garantire agli arancioneroverdi il raggiungimento dell’obiettivo salvezza.
Dal punto di vista del lavoro sul campo, Zanetti ha organizzato la sua squadra intorno ad un 4-3-1-2 fluido, soprattutto in relazione alla disposizione (sia iniziale sia nelle due fasi) dei tre riferimenti offensivi.
In questo senso, elemento fondamentale risulta essere il norvegese Dennis Johnsen, che svolge le funzioni di equilibratore tattico agendo da attaccante in possesso e da centrocampista aggiunto in non possesso.

In generale, in fase offensiva si vede maggiormente quella duttilità che rappresenta la linea guida del modello di gioco proposto da Zanetti. «Impostiamo in un modo, difendiamo in un altro, possiamo cambiare lo schieramento» resta quindi un discorso valido per definire il Venezia di quest’anno come quello dello scorso campionato di serie B.
Lo si vede fin dalla costruzione dove i veneti possono alternare giocate dirette alla ricerca degli elementi più avanzati ad altre situazioni più elaborate. In quest’ultimo caso lo scopo rimane quello di creare spazi da aggredire in avanti.
Detto questo, la produzione offensiva del Venezia finora latita, con gli uomini di Zanetti che hanno finora prodotto appena 70 tiri in situazione di open play per un totale di 6.6 expected goals (xG) prodotti (dati @OptaAnalyst). Dati che collocano la neopromossa all’ultimo posto della serie A in queste graduatorie. Se andiamo poi ad analizzare l’Indice di Pericolosità Offensiva (IPO) di Sics, il Venezia si trova all’ultimo posto (33.8).
In fase difensiva invece il Venezia tende ad abbassarsi per compattare le linee, negare la profondità agli avversari e creare campo alle spalle della retroguardia rivale da colpire poi in contropiede. Il dato del PPDA della squadra veneta (14.4) è infatti il terzultimo del torneo (più basso solo del 16.4 di Udinese e Cagliari) mentre il baricentro medio sul possesso avversario è di 44.25m.

I dati del non possesso invece collocano gli arancioneroverdi al nono posto in termini di Indice di Rischio Difensivo (IRD) con 43.7. Anche gli expected goals against (xGA) sono buoni (11) a dimostrazione della buona fase difensiva lagunare.

Con palla agli avversari, la squadra cerca di fare densità centrale, chiudendo la zona di rifinitura. Il corretto funzionamento di questo atteggiamento che mira a serrare le linee è confermato dal numero di passaggi chiave subiti dal Venezia. Il totale infatti (294) è superiore soltanto a quelli concessi da Juventus, Atalanta, Bologna, Inter Fiorentina e Roma.
Al netto di quanto evidenziato fin qui, l’andamento della squadra è stato altalenante, come era prevedibile tenuto conto di una rosa rinnovata e dell’impatto con la categoria. Il Venezia comunque non è partito male e, salvo crolli, dovrebbe lottare fino alla fine per la permanenza nella massima serie. I dati riportati ci dicono che la squadra deve migliorare la produttività nell’altra metà campo. Se riuscirà a farlo, la salvezza non sarà una chimera.