Per la terza volta nella sua storia (le altre furono a Euro 2012 e alla coppa del Mondo 2006) l’Inghilterra vince il proprio raggruppamento nella fase a giorni di una grande competizione.
Una prima posizione conquistata però non esprimendo un gioco brillante quanto invece uno accorto, più attento a non subire. Non a caso i Tre Leoni chiudono sì imbattuti (con due vittorie e un pareggio) e subendo zero gol (prima volta di un clean sheets in tre partite consecutive dai Mondiali casalinghi del 1966) ma con soltanto due reti realizzate.
La sensazione quindi è quella di una squadra che non sia riuscita a sfruttare tutto il potenziale offensivo a propria disposizione.
Contro la Repubblica Ceca si è sentita la mancanza di Mason Mount, soprattutto in fase di costruzione e consolidamento del possesso ma le problematiche realizzative dell’Inghilterra erano state evidenti anche nei primi due confronti contro Croazia e Scozia.

L’inclusione nella formazione titolare di Jack Grealish e Bukayo Saka ha migliorato la situazione rispetto alle uscite precedenti. La catena formata da Grealish, Raheem Sterling e Luke Shaw ha permesso agli Inglesi di risalire il campo da quel lato mentre, dall’altra parte, Saka contribuiva con velocità e vivacità.
La presenza in campo del calciatore dell’Arsenal ha permesso a Southgate di presentare una fase offensiva più equilibrata, non sbilanciata sul lato sinistro come nelle prime due uscite.

Per quanto riguarda invece il no.7 c’è da fare un discorso più articolato. Arrivato a questi Europei come il nuovo Gascoigne (formato 1996) il giocatore dell’Aston Villa è stato caricato di grandi responsabilità, anche e soprattutto sul piano del gioco.

Quando è in campo infatti, l’idea che trasmette la nazionale inglese è quella di una squadra che si affidi esclusivamente alle sue giocate per creare situazioni offensive pericolose. Grealish appare quindi non l’elemento in più in un contesto organizzato quanto colui che deve dettare questo contesto.
Il fatto di essere stato schierato da no. 10 in un 4-2-3-1, come accaduto contro i Cechi, sembra avvalorare questa ipotesi.
Vedremo ora quale strada intraprenderà Southgate con l’inizio della fase ad eliminazione diretta. Il ct inglese deve risolvere i problemi offensivi di una squadra che ha finora creato (in tre incontri i bianchi hanno prodotto una media di 1.53 xG a partita) ma non ha convertito.

Il rientro di Harry Maguire (tornato per la prima volta in campo dopo l’infortunio alla caviglia dello scorso maggio) potrebbe suggerire a Southgate il ritorno alla difesa a tre, con conseguenze sul numero di elementi offensivi da schierare in avanti.
Con Grealish e Saka che hanno disputato una buona partita e con Raheem Sterling come terminale offensivo più efficace in questo momento (Kane è ancora a zero gol segnati) sarà interessante osservare proprio come Southgate comporrà l’attacco inglese per l’ottavo di finale previsto fra una settimana a Wembley, considerando il fatto che ci sono anche Phil Foden e Marcus Rashford a disposizione.
Oltre il Vallo di Adriano troviamo invece la delusione di una Scozia che non è riuscita a superare l’ostacolo Croazia, venendo così eliminata nei gironi della prima fase finale raggiunta dagli Scozzesi dai Mondiali 1998.
Chiavi del match sono state la superiorità tecnica croata e, ancora una volta, l’inefficacia scozzese in fase di finalizzazione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la nazionale di Zlatko Dalić ha subito portato l’incontro su un binario a lei congeniale, cercando di dettare il contesto tramite il possesso (64%).
Nel far questo i Croati si sono affidati ad una costruzione 4+1 che aveva in Marcelo Brozović l’elemento cardine. Il play basso della Croazia non veniva ostacolato efficacemente dal sistema difensivo scozzese e, in generale, poteva comunque avvalersi del supporto di una delle due mezzali (Luka Modrić e Mateo Kovačić) che spesso si abbassavano per dettare una ulteriore linea di passaggio all’interista e aiutare così il consolidamento del possesso della squadra.
In generale, la Scozia è apparsa troppo passiva (a tratti timorosa) sui portatori croati, non applicando la giusta pressione sulla palla e consentendo così agli avversari di trovare facilmente il compagno alle spalle delle linee difensive della squadra di Steve Clarke. Non a caso il trio di centrocampisti della Croazia ha completato ben 24 passaggi chiave (11 il solo Modrić ), cioè il 60% del totale prodotto dalla squadra (40).

Oltre che dall’elevata qualità dei propri giocatori questa penetrazione croata è stata permessa anche dalle difficoltà evidenziate dagli scozzesi nel difendere una zona di rifinitura che gli uomini di Dalić non facevano fatica ad invadere con molti giocatori.
Quando poi i corridoi centrali risultavano chiusi, la Croazia veicolava il gioco in zone esterne e in particolare a destra dove operava un preciso Josip Juranović. A sinistra invece l’ampiezza era garantita da Perisic e Joško Gvardiol col terzino del Lipsia che spesso veniva a giocare dentro il campo.

Per quanto riguarda invece la Scozia, a finire sotto accusa è soprattutto il reparto offensivo. I vari Ché Adams, Lyndon Dykes e Ryan Fraser sono sembrati in difficoltà a questo livello.
Infine, a non convincere sono state anche alcune scelte poste in essere da Clarke, come ad esempio quella di arretrare Scott McTominay sulla linea dei tre sguarnendo la linea mediana. Linea che, contro la Croazia, priva di Billy Gilmour, ha presentato in Callum McGregor, Stuart Armstrong e John McGinn un terzetto non in grado di opporsi al centrocampo croato.
Alla fine alla Scozia resta il rammarico per l’eliminazione, pur nella consapevolezza di aver comunque condotto un discreto Europeo (in rapporto ai mezzi a disposizione) e di avere a disposizione una base dalla quale ripartire.