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Stavo pensando a te

Negli ultimi giorni sono cominciati a circolare i primi rumors riguardanti i cambi di guida tecnica per la prossima stagione. Un valzer delle panchine che dovrebbe partire ufficialmente a breve e sul quale media e tifosi sono già pronti a dire la loro.

Fra queste ‘voci di mercato’, più o meno attendibili, c’è quella relativa alla sostituzione di Gattuso sulla panchina del Milan, sostituzione che sembra ad oggi inevitabile, indipendentemente dalla qualificazione alla prossima Champions, obiettivo stagionale della dirigenza rossonera.

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La prima della Gazzetta dello scorso 30 aprile.

Il nome più accostato al Milan è in questo momento quello di Eusebio Di Francesco. Reduce da una non felice seconda stagione alla guida della Roma (che ha fatto seguito a quella, ottima, 2017/18, nella quale l’allenatore abruzzese era anche riuscito a guidare i giallorossi alla loro seconda semifinale in coppa Campioni della storia), il 49enne Di Francesco ha esperienza in una piazza di alto livello e ha dimostrato di poter reggere alle pressioni dell’ambiente.

Dal punto di vista caratteriale, quindi, non esistono motivi ostativi ad un eventuale ingaggio di Di Francesco come nuovo allenatore rossonero. Più complessa è invece la valutazione sul lato meramente tecnico.

Arrivato a Roma nell’estate 2017 con l’etichetta di allenatore ‘dogmatico’, fedele al 4-3-3 messo in mostra a Sassuolo (con punte di 4-2-3-1), Di Francesco è parso apparentemente meno integralista di quanto si pensava. La lezione tattica impartita al Barcellona di Valverde durante la scorsa Champions, con l’impiego della difesa a tre, ne è un esempio.

Tuttavia, l’ex allenatore della Roma è parso a disagio quanto si è trattato di modificare non tanto il modulo di gioco quanto l’approccio tattico generale.

Infatti, in questa stagione, nonostante la Roma si fosse privata in sede di mercato dei vari Alisson, Nainggolan e Strootman, Di Francesco ha scelto di proseguire sulla strada tracciata nel campionato precedente, rimanendo fedele ai propri principi di gioco. Questa coerenza tattica non è però risultata essere adatta per sfruttare al meglio la nuova rosa a sua disposizione.

Tutto questo è parso più evidente man mano che andava avanti la stagione, a partire dalla fase di non possesso dove la Roma ha presto incontrato difficoltà che non è poi stata in grado di superare. Al momento del suo esonero, lo scorso marzo, la Roma viaggiava infatti alla media di 1.38 gol presi a partita, risultando essere appena la decima squadra in termini di gol subiti.

Ad alimentare queste problematiche in fase difensiva è stata anche la scarsa qualità del pressing portato dai giallorossi. Infatti, contrariamente a quanto avvenuto nella prima stagione difranceschiana, la Roma concedeva ben 10.40 passaggi di media agli avversari prima di registrare un intervento difensivo (PPDA).

Il reparto arretrato non è mutato, avendo ancora in Florenzi, Manolas, Fazio e Kolarov la proprio linea base ma, oltre alle peggiorate prestazioni dei singoli (Fazio in particolare) quello che è venuto a mancare è stato il fondamentale apporto di Alisson. Il portiere brasiliano aveva infatti risolto molte situazioni complicate nell’annata passata grazie ai suoi interventi e alle sue uscite per coprire le spalle alla linea difensiva alta voluta da Di Francesco.

Il passaggio da Alisson e Olsen, col mantenimento dell’idea di tenere la linea arretrata più avanza possibile, ha ancora di più evidenziato le lacune del no.1 svedese, non a caso sostituito da Mirante all’arrivo di Ranieri.

L’intervento non irreprensibile di Olsen in occasione del terzo gol subito dalla Roma nel derby di ritorno. 

Per quanto riguarda invece la fase offensiva la Roma ha prodotto in termini di gol (49) e expected goals (49.17) anche se la manovra è parsa meno fluida rispetto alla stagione precedente, forse anche a causa della maggior conoscenza da parte degli avversari.

Alla fine, Di Francesco ha pagato soprattutto l’eliminazione in coppa Campioni subita ad opera del Porto al termine di due partite che sono state un po’ l’emblema della sua seconda stagione in giallorosso in quanto contraddistinte da errori individuali (i gol mancati da Dzeko e Perotti al ritorno), di concentrazione (la squadra che si ferma sul doppio vantaggio nella prima partita, il rigore causato da Florenzi in Portogallo) e tattici (la decisione dell’allenatore di utilizzare il 3-4-3 al Do Dragão).

Detto che il Milan dovrebbe venir modificato da un mercato estivo ancora imprevedibile, è altrettanto evidente come Di Francesco rappresenti un’opzione valida se messo in condizione di praticare il suo calcio. Quando infatti gli è stato possibile restare all’interno del proprio sistema di gioco (il primo anno a Roma), Di Francesco ha fatto bene. Vice versa, come accaduto in questo campionato, fuori della sua comfort zone il tecnico abruzzese ha palesato delle difficoltà.

Di conseguenza, se il Milan decidesse di affidarsi a Di Francesco dovrebbe mettergli a disposizione una rosa in grado di esaltare il suo gioco fatto di triangoli esterni volti a risalire il campo verticalmente nel modo più veloce possibile.

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Al netto del mercato, al Milan Di Francesco troverebbe giocatori già abituati al 4-3-3. Resterebbe però da verificare la loro adattabilità ai principi di gioco dell’ex allenatore giallorosso. 

Un approccio che ha rivelato la sua efficacia soprattutto quando la Roma conquistava palla e riusciva a imbastire rapide transizioni mentre, contro difese posizionali, questo atteggiamento spesso si risolveva nella ricerca delle catene laterali per produrre cross dentro un’area non sempre ben riempita.

Il passaggio al 4-2-3-1 in questo campionato, per facilitare l’inserimento in squadra dei vari Nzonzi, Cristante e Pellegrini, aveva finito per non ovviare a queste difficoltà e, anzi, ne aveva create altre a cominciare da quella di una squadra che tendeva ad allungarsi pericolosamente nel corso della partita.

Una Roma meno aggressiva senza palla ha spesso esposto la propria linea difensiva alle transizioni avversarie. 

Per praticare quindi il 4-3-3 favorito da Di Francesco, senza lunghe fasi di consolidamento del possesso in zone avanzate di campo, il Milan dovrebbe quindi dotarsi di giocatori più rapidi e maggiormente associativi di quelli attualmente in rosa per creare quelle strutture attraverso le quali l’eventuale nuovo allenatore potrebbe far praticare alla squadra quelle risalite veloci di campo ammirate a Sassuolo e lo scorso anno.

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