Stavolta Allegri non è riuscito a mettere il muso della sua Juventus davanti l’avversario di turno. La squadra bianconera è infatti stata sorprendentemente eliminata da rivali che hanno affrontato questi quarti di finale consapevoli della propria identità tattica.
Per l’intero arco del doppio confronto di andata e ritorno dei quarti di finale della Champions contro la Juve, l’Ajax di Erik ten Hag è rimasto ancorato ai principi di gioco che stanno caratterizzando la stagione degli olandesi. I lancieri sono compagine impostata per giocare un calcio di posizione fondato sul controllo della partita mediante il possesso del pallone e sul gegenpressing per l’immediata riconquista dello stesso una volta perso.
All’interno di questa costruzione tattica ci sono poi dei patterns che si sono ripetuti nell’arco dei 180 minuti di gioco come, ad esempio, la ricerca di una grande densità in zona palla al fine di creare superiorità numerica sul lato forte, lasciandosi sempre aperta l’opzione di un cambio di gioco per sfruttare l’uno contro uno sul lato debole.
L’Ajax in possesso: densità con superiorità posizionale sul lato forte e isolamento sul lato debole.
L’elevata concentrazione di giocatori sul lato forte permette ai biancorossi di Amsterdam di creare molte linee di passaggio intorno al portatore di palla tali da favorire un possesso palla continuato a mo’ di flipper ma anche di agevolare la suddetta azione di contropressing una volta perso il possesso.
Questa sorta di attacco continuato si è particolarmente evidenziata nei primi venti minuti della ripresa di entrambe le partite, quando l’Ajax ha aumentato la pressione offensiva riducendo anche il tempo che intercorreva fra una fase di possesso e quella successiva, grazie a giocatori istruiti nel difendere sempre in avanti, anche a costo di lasciare campo dietro la prima pressione.
L’aggressività della squadra di ten Hag, sia in situazione di contropressing che in fase di pressing offensivo sulla costruzione bianconera aveva costretto la Juventus (nella gara d’andata) a ricorrere al lancio lungo (19% dei passaggi totali effettuati dagli uomini di Allegri) che però non permetteva agli ospiti di superare la prima linea di pressione ajacide, anche grazie all’aggressività mostrata dalla linea arretrata biancorossa (in particolare in De Ligt e Veltman) che consentiva al padroni di casa di difendere in avanti senza soffrire il fatto di avere un baricentro così alto e molto campo alle spalle dei propri difensori. Al ritorno, l’Ajax poi si segnalava per il fatto di aver recuperato ben 65 palloni.
Il piano gara dell’Ajax ha sortito poi gli effetti desiderati anche e soprattutto in fase offensiva. Infatti, se è vero che il primo tempo di Amsterdam, al netto di un dominio degli olandesi in termini di possesso palla (60%), si era concluso su un piano di sostanziale parità per quanto riguarda i tiri in porta effettuati (2-1) e le occasioni da gol avute (1-0), nei secondi quarantacinque minuti il dato degli expected goals ha fatto nettamente preferire la squadra di ten Hag (1.1 contro 0.7).
Il calcolo degli expected goals (xG) della partita d’andata secondo il modello di Michael Caley.
A Torino, ancora una volta, dopo un primo tempo sostanzialmente in controllo dei bianconeri (nonostante il fatto che la Juventus abbia creato poco), l’Ajax ha preso in mano le redini dell’incontro, mostrandosi alla fine come la squadra più pericolosa in termini di xG (0.8 – 2.2).
Le xG combinate per Ajax – Juventus, sempre secondo Michael Caley.
Il calo palesato dai bianconeri nella ripresa della partita dell’Allianz Stadium non sembra attribuibile tanto ad un fatto meramente fisico quanto piuttosto ad una questione psicologica: quando l’avversario ti palleggia in faccia e tu vedi che non riesci a creare nulla, subentra quello scoramento che, pian piano, ti porta a mollare.
L’Ajax è quindi riuscita anche al ritorno ad imporsi, mostrando la famosa struttura offensiva 2-2-5-1 / 2-2-6 di ten Hag.
Nonostante la Juve difendesse a rombo, per cercare di schermare De Ligt (con Dybala) e De Jong (con Pjanic/Emre Can), i lancieri riuscivano lo tesso a costruirsi interessanti linee di passaggio nel primo possesso, soprattutto tramite lo stesso De Jong (86% di precisione nei passaggi) e Schöne (93%).
Il rombo difensivo della Juventus per opporsi alla costruzione dei lancieri.
L’Ajax riusciva così facilmente ad avere la meglio della prima pressione juventina creando poi i presupposti per organizzare nel secondo campo quell’occupazione posizionale dello spazio fra le linee della Juventus che permetteva alla squadra olandese di strutturare associazioni fra calciatori vicini, in grado di consentire a Ziyech, Tadic & Co. di muovere il pallone a velocità altissima verso la porta avversaria.
Un’azione degli olandesi che spiega il loro calcio associativo in fase di possesso.
In sostanza, quello che le due partite contro i bianconeri lasciano è la sensazione che l’Ajax visto ad Amsterdam e a Torino sia la miglior versione di questa squadra da quella presentata da Van Gaal nel biennio 1995/96.
Le tre vittorie consecutive del Real Madrid di Zidane e la presenza in semifinale, in questa edizione, di quattro squadre che applicano concetti moderni nelle due fasi di gioco fa pensare che, ad oggi, il calcio europeo di club abbia virato favorevolmente, a livello più alto, verso compagini che non si limitano ad effettuare una difesa posizionale aspettando poi di speculare sugli errori degli avversari quanto piuttosto verso quelle realtà che cercano, con e senza palla, di essere protagoniste e artefici del proprio destino.