Vince di nuovo il Qatar

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E così l’edizione 2023 (ma giocata nel 2024) della coppa d’Asia va in archivio. La massima competizione asiatica per nazionali ha visto trionfare il Qatar per la seconda volta consecutiva, dopo il successo ottenuto nel 2019 negli Emirati Arabi Uniti.

Quali spunti ci ha lasciato una coppa che si è giocata con una copertura mediatica che, da noi, è stata prossima allo zero?

Prima di tutto, possiamo dire che il Qatar è ormai una potenza continentale. Nessuna nazionale era riuscita a vincere due volte consecutivamente il torneo dal Giappone nel 2004. Certo, la vittoria di questa edizione è stata più sofferta rispetto a quella del 2019, quando i Maroons dominarono la competizione.

Stavolta i qatarioti hanno avuto bisogno dei rigori per avere la meglio dell’Uzbekistan nei quarti, così come hanno fatto molta fatica contro l’Iran in semifinale (una vittoria del Team Melli non sarebbe stata scandalosa) e contro la sorprendente Giordania nell’atto conclusivo della manifestazione.

Una finale decisa dai tre rigori realizzati da Akram Afif, esterno qatariota nominato miglior giocatore di un torneo del quale è stato il capocannoniere con otto reti segnate (alle quali vanno aggiunti tre assist). A ventisette anni, il giocatore dell’Al-Sadd (campionato locale) potrebbe riprovare a percorrere la strada del’Europa, dopo le non fortunate esperienze con i belgi dell’Eupen e gli spagnoli di Villareal e Sporting Gijón.

Tatticamente la nazionale allenata dallo spagnolo Márquez López ha presentato un atteggiamento aggressivo in non possesso (9.4 l’indice PPDA) presentando una fase offensiva equilibrata. Infatti, dopo l’insuccesso dell’idea di applicare un gioco esclusivamente incentrato sul possesso col il suo predecessore Félix Sánchez Bas (e dopo il breve periodo con Carlos Queiroz) il Qatar ha adottato uno stile in grado di adattarsi al contesto, che non rinunciasse alle prerogative del contropiede tipico delle squadre arabe.   

Le grandi delusioni del torneo asiatico sono Corea del Sud, Giappone e Australia. Dei problemi della Corea abbiamo già discusso nella nostra newsletter. Qui ci soffermeremo invece su come la squadra sudcoreana può ripartire.

Dal punto di vista del tecnico, tutti gli analisti del calcio asiatico sembrano ritenere improbabile un esonero di Klinsmann. Degli ultimi allenatori che si sono alternati alla guida dei Taegeuk Warriors soltanto il tedesco Uli Stielike è stato esonerato (nel 2017). Per tutti gli altri la KFA ha optato per arrivare alla scadenza naturale del contratto.

Così è stato ad esempio col portoghese Paulo Bento, predecessore di Klinsi. Al di là delle questioni sollevate da The Athletic, Klinsmann ha la necessità, sul campo, di trovare il modo di sfruttare meglio Son Heung-Min, Hwang Hee-Chan e Lee Kang-In e di amalgamare tatticamente il resto della squadra alle sue stelle europee, comprese quelle giovani come i due giocatori del Celtic Oh Hyeon-Gyu e Yang Hyun-Jun.

Per quanto riguarda l’Australia, i Socceroos pagano le difficoltà in fase di rifinitura e finalizzazione. Se guardiamo i dati raccolti da Sics notiamo infatti come il dato delle conclusioni in porta effettuate dalla nazionale australiana per 90 minuti di gioco sia soltanto il decimo della competizione (7.4).

Problemi che hanno afflitto l’intera gestione di Graham Arnold, in carica dal 2018. Sotto l’ex assistente di Guus Hiddink durante la campagna dei Mondiali 2006 (terminati con la famosa eliminazione ad opera dell’Italia per un discusso rigore realizzato da Francesco Totti) l’Australia ha infatti sempre incontrato difficoltà negli ultimi trenta metri di campo, in particolare contro blocchi bassi.

Detto questo, non tutto può essere addebitato a Arnold. Giocatori di talento come Tom Rogić e Aaron Mooy si sono ritirati. Ajdin Hrustic non si è sviluppato come molti pensavano. La mancanza di elementi di fantasia è un qualcosa su cui l’intero calcio australiano dovrà riflettere negli anni a venire. In questo momento l’Australia è indietro rispetto alle altre grandi d’Asia. Basti pensare a quanti top player o calciatori di qualità giapponesi e coreani siano in giro per i maggiori campionati europei e fare il paragone con quelli australiani.

La prolungata resistenza offerta dai Socceroos nei quarti di finale contro la Corea è stata più frutto delle disfunzioni della formazione di Klinsmann che di meriti degli australiani.

E veniamo al Giappone. I Samurai blue sono la squadra che è arrivata agli ottavi dell’ultimo Mondiale, battendo Germania e Spagna, o sono quelli che, di ritorno in Qatar per questa coppa d’Asia, sono stati eliminati meritatamente dall’Iraq e dall’Iran?

Difficile dirlo. L’impressione è che il Giappone continui a produrre ottimi giocatori in quasi tutti i ruoli tranne che in due essenziali: il portiere e il centravanti. La scelta di Hajime Moriyasu di affidare la porta al ventunenne di origini ghanesi Zion Suzuki non ha pagato. Il numero uno del Sint-Truiden ha infatti commesso diversi errori durante il torneo, mostrando una generale insicurezza.

Per quanto riguarda il centravanti, il Giappone ha tanti giocatori offensivi di qualità (i vari Ayase Ueda, Takumi Minamino, Takuma Asano, Daizen Maeda e Takefusa Kubo) ma continua a non avere a disposizione un finalizzatore puro. 

La struttura offensiva spesso ridondante nel palleggio del Giappone contro l’Iran, prodotta con VideoMatch Presenter di Sics.

Premesso ciò, nonostante i risultati alla coppa del Mondo, Moriyasu continua a non sembrare l’allenatore ideale per sfruttare il potenziale comunque importante che la nazionale giapponese può vantare. Contro l’Iran, nella sfida che è costata l’eliminazione agli ottavi, i giapponesi secondo Opta hanno prodotto appena due tiri in porta per un totale di to 0.79 xG. Sarebbe interessante promuovere un tecnico come Toru Oniki, il cui calcio posizionale ha mostrato grandi cose ai Kawasaki Frontale.

In generale comunque, nonostante la vittoria del Qatar e l’ottima campagna della Giordania (merito del lavoro svolto dall’allenatore Hussein Ammouta) il calcio arabo sembra indietro rispetto a quello del resto del continente. La base di talento dalla quale pescare appare infatti ridotta rispetto a movimenti calcistici più sviluppati come quelli coreano e giapponese. Per questo, anche il nostro Roberto Mancini (come gli altri commissari tecnici delle nazionali arabe) avrà moto lavoro da fare.

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