La finale di Champions League fra Manchester City e Chelsea premia la squadra londinese e porta sul tetto d’Europa Thomas Tuchel, un anno dopo la sconfitta patita contro il Bayern quando il tedesco era alla guida di quel Paris Saint-Germain dal quale è stato esonerato cinque mesi fa.
La sfida andata in scena Estádio do Dragão è stata un’avvincente battaglia tattica che ha dunque finito per dare ragione al tecnico che l’ha preparata meglio e alla squadra che è riuscita ad interpretarne correttamente il contesto.

Dal punto di vista del gioco infatti, la partita ha subito preso quei connotati che avrebbe poi mantenuto nell’intero arco dei novanta minuti di gioco, con i Citizens a cercare di manipolare il sistema difensivo avversario tramite il possesso (60%) ed il Chelsea attento a coprire gli spazi per ingolfare la manovra avversaria.
Per quanto riguarda il Manchester è da sottolineare come Guardiola, ancora una volta, abbia peccato di overthinking. Nonostante le ovvie dichiarazioni rilasciate nel post gara (‹‹ho preso quella che pensavo fosse la miglior decisione da prendere [riguardo alla formazione scelta]››) fin dal momento in cui è stato reso noto l’undici iniziale sono affiorati dei dubbi sulla squadra selezionata da Pep.
Infatti, per la sola seconda volta in questa stagione (la prima a novembre nella vittoria 3-0 contro l’Olympiacos) il City ha iniziato una partita senza nessun centrocampista difensivo, con Fernandinho e Rodri entrambi in panchina. Questa scelta doveva idealmente favorire il piano gara predisposto da Guardiola, col City a dettare la partita ed i tempi di gioco allo scopo di soffocare il Chelsea mediante il controllo della palla.
In realtà, così facendo il tecnico spagnolo ha non soltanto costretto Ilkay Gündogan ad assumere funzioni più difensive (privandosi così delle qualità da invasore dell’ex Dortmund) ma ha anche esposto il nazionale tedesco al palleggio di Mason Mount e alle corse in profondità alle sue spalle di Timo Werner e Kai Havertz.
Proprio questi tre giocatori sono stati fondamentali alla tattica predisposta da Tuchel: il 22enne inglese (utilizzato come mezzala di possesso in fase offensiva e come supporto alla prima linea di pressione nel 5-2-3 col quale i Blues si disponevano in fase difensiva) trovava ai lati di Gündogan quello spazio e tempo di giocata che veniva favorito dalle corse in avanti dei due attaccanti del Chelsea, che andavano ad allungare il City durante la fase difensiva della squadra di Guardiola.

In tal senso, l’azione del gol che ha deciso l’incontro è sintomatica. Su un’uscita palla costruita da dietro Mount si trova a ricevere palla completamente libero nel mezzo spazio sinistro, senza un centrocampista avversario vicino a lui e con John Stones in ritardo. Il no.19 del Chelsea ha così il tempo di girarsi e verticalizzare verso i suoi attaccanti che si trovano in situazione di 2c2 con i difendenti avversari. Werner, con un taglio, si porta via Rúben Dias mentre Havertz brucia Oleksandr Zinčenko andando a concludere a rete.

È da sottolineare come l’occasione concretizzata da Havertz non sia stata l’unica per un Chelsea che già nel primo tempo ne aveva avute altre due con Werner. In possesso i Blues hanno studiato la partita per cercare campo nei corridoi esterni (laterali e mezzi spazi) in modo da smuovere il sistema difensivo del City per andare poi ad attaccare la profondità.
In generale, al di là di queste difficoltà in transizione, la formazione scelta da Guardiola non è riuscita nemmeno a produrre offensivamente.

Il 3-3-1-3 presentato dal Manchester in possesso andava infatti a cozzare con il sistema difensivo studiato da Tuchel, che finiva per ingolfare il centro del campo e schermare le linee di passaggio verso la zona di rifinitura.

Tanto è vero che, ad esempio, Kevin De Bruyne (utilizzato ancora da Guardiola come falso nueve in un modello di gioco senza centravanti puro che aveva comunque permesso al City di segnare molti gol in stagione) ha ricevuto soltanto un passaggio chiave (cioè un passaggio che permette di superare una linea difensiva avversaria) nell’ora in cui è rimasto in campo prima dell’infortunio.

Gli unici sviluppi possibili per il City in fase offensiva erano quelli esterni e, infatti, quando la squadra di Guardiola ha provato ad innescare Riyad Mahrez e Raheem Sterling i campioni d’Inghilterra sono stati più pericolosi. Questo però è avvenuto poco, col risultato appunto di annullare la macchina offensiva del Manchester.
L’andamento della gara non è cambiato nemmeno nella ripresa, quando Guardiola ha provato a cambiare la struttura offensiva del City senza però riuscire a venire a capo di un Chelsea che effettuava più lunghe fasi di difesa posizionale bassa ma che non correva nessun vero rischio, se si esclude la conclusione di Gündogan finita di poco alta nel finale.
Alla fine dunque la partita premia un Tuchel che ha vinto nettamente il confronto tattico con il suo dirimpettaio, proponendo un Chelsea in grado di annullare i punti di forza del City e di sfruttarne i deboli. Non male per chi aveva ereditato un Chelsea in difficoltà sotto la precedente gestione tecnica.