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Un Baggio per Inzaghi

Riprendiamo la serie delle interviste con vari match analyst professionistici andando a scambiare quattro chiacchere sulla professione con Simone Baggio, attualmente in forza allo staff di Filippo Inzaghi a Benevento, squadra che quest’anno ha dominato il campionato cadetto. 

Qual è la tua formazione? Come ti sei istruito per ricoprire il ruolo che ricopri? 

Mi ritengo ormai un veterano del mestiere. Personalmente sono partito quindici anni fa, nel 2005. Non c’erano ancora corsi, sono partito per caso lavorando in Sics. Una formazione non sui ‘banchi di scuola’ ma sul campo. Fino al 2010 ho lavorato lì come match analyst, formandomi quindi in azienda. 

Per il MA di oggi, la formazione da allenatore la ritengo fondamentale. Non tanto l’essere allenatore da un punto di vista di qualifiche o patentini quanto piuttosto nella mentalità e, n particolar modo, nelle conoscenze. Un MA, in qualsiasi categoria lavori, è in contatto quotidiano con l’allenatore, il preparatore atletico, il ds, il presidente, i giornalisti, i tifosi, i giocatori…deve quindi intendersene un po’ di tutto. Se un ds mi parla di un giocatore, devo sapere di cosa si discute. Se parlo con un giornalista, devo intendermene di comunicazione.

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Simone Baggio al Benevento (Fonte: gentile concessione del club).

Con un giocatore, devo sapermi rapportare a seconda di chi ho davanti…servono conoscenze a 360°, come per un allenatore. Io ho anche allenato dieci anni nei dilettanti e ho fatto il vecchio corso istruttori CONI-Figc, il B e ora ho il patentino Uefa A da allenatore professionista.

 Qual è il tuo compito all’interno dello staff? Entri anche in ‘questioni ‘di campo’ o solo di match analysis?

Sono MA/tattico e questo è il motivo per cui il mister mi ha portato prima a Bologna e ora a Benevento. Sono l’uomo di riferimento del tecnico per l’area match analysis: dai dati ai video, fino alla tattica…quando studi le partite devi anche proporre all’allenatore delle soluzioni in funzione di quello che hai visto. Su questioni decisionali non entro anche se gli allenamenti li vedo. Un MA deve farlo, possibilmente dal vivo, perché poi se il mister mi chiede un parere (e capita) devo saperglielo fornire. 

Quali corsi consigli di seguire a chi voglia intraprendere questa professione?

Ora che il MA è diventata una figura riconosciuta dal settore tecnico, direi quello FIGC. Se le altre figure di uno staff si formano al Settore Tecnico, è giusto che avvenga così anche per il MA. Poi ci sono altri corsi validi.

L’importante però è il vissuto di chi ti parla, di chi ti forma. Per me il MA, qui in Italia, è sempre più portato dall’allenatore, sempre più uomo della società, sempre più fa parte di uno staff tecnico.

Quindi ha bisogno non solo di essere formato sull’uso di un software o sui vari sistemi ma di tante altre sfumature e componenti. Credo che sia allora importante che chi tiene un corso abbia esperienza con un club o un allenatore alle spalle, perché solo questo tipo di insegnanti possiede quel vissuto che è utile per formare un MA e trasmettere competenze complete. Come dicevo prima, il MA di oggi deve saper relazionarsi con la società, con l’allenatore, con i giocatori. 

Come sei arrivato al calcio professionistico? E come ad allenare nello staff di Filippo Inzaghi?

Non ho un passato da giocatore di livello. Come detto in apertura, ho fatto cinque anni in Sics, l’azienda che mi ha permesso di intraprendere questa strada e diventare quello che sono oggi. Nel 2005 allenavo nei dilettanti e studiavo storia alla Ca’ Foscari di Venezia. Quando ho avuto l’offerta di Michele Crestani per entrare in Sics con un lavoro a tempo pieno ho lasciato l’università. A quel tempo in azienda eravamo in quattro o cinque analisti, fra i quali Antonio Gagliardi e Filippo Lorenzon e ognuno di noi doveva seguire quattro o cinque club a testa…un lavoro immane!

Così però avevi contatti quotidiani con vari allenatori e staff e questo ci consentiva di imparare cosa volessero e cosa fosse lavorare in un club professionistico. Poi ho avuto la possibilità di andare al Verona, in Lega Pro, facendo il primo step dall’azienda ad un club. I primi due anni sono stati di gavetta fra Lega Pro e B e poi, un po’ alla volta, sono stato conosciuto e si sono aperte altre strade nel professionismo. Ho fatto otto splendidi anni dalla C alla A col Verona, un club al quale devo tantissimo e che ringrazierò a vita.

Poi nel 2018 ho fatto un altro step, passando dall’essere MA di un club a MA di un allenatore con mister Inzaghi, che cercava una figura professionale come la mia da inserire all’interno del suo staff già di alto livello. Io l’ho conosciuto l’anno di Venezia in B, dove ha fatto grandi risultati, rischiando di andare in A dopo aver vinto la C. Mi stimolava lavorare con una figura che è stata un grandissimo calciatore ma che ha fatto bene anche in panchina (prima di Venezia col settore giovanile del Milan e con la prima squadra).

Alcuni allenatori prediligono video montati con frecce e diagrammi mentre altri vogliono li vogliono spuri, per così dire…con Inzaghi quale approccio usate? 

Ho avuto allenatori che non ne volevano, Inzaghi invece pretende clip montate in modo da evidenziare i principi di gioco con diagrammi, fermi immagine, descrizioni…il mister crede molto nell’aspetto visivo, come strumento rafforzativo per veicolare un concetto e anche per catturare di più l’attenzione del giocatore, in aiuto alla spiegazione a voce del tecnico. Ovviamente senza esagerare nel senso opposto, con troppe frecce o diagrammi. Pochi ma chiari! 

 

Come compili i tuoi report? In pratica, quali informazioni ti sono chieste sugli avversari di turno, da parte di Inzaghi? 

Il mister è un martello in questo. Tanto per cominciare, noi come staff tecnico ci facciamo mandare anche la rassegna stampa dei giornali locali, per monitorare la situazione degli avversari: come stanno, chi si è allenato a parte, qual è la situazione dell’ambiente…il mister vuole conoscere tutto.

Poi Inzaghi chiede di sapere come sono le uscite degli avversari e, in fase difensiva, come ti vengono a prendere. La prima cosa che chiede è come marcano sulle palle inattive e, appunto, come ti vengono a prendere. La nomea di difensivista è immeritata: parte sempre da richieste che servono a preparare la nostra squadra sul come attaccare, come far colpire gli avversari. Detto questo, è chiaro che il mister sa benissimo che per vincere, di norma, bisogna prendere pochi gol. Una volta visto il video sulla fase di non possesso avversaria, si va in campo per provare la nostra fase offensiva.

Successivamente dobbiamo evidenziare dove sono pericolosi, come lavorano loro sulle palle inattive. Tutto viene ripreso con telecamere o droni, come qui a Benevento dove il club ci ha messo a disposizione una macchina organizzativa impressionante. Non è preteso un report cartaceo, l’importante è che siano fornite le informazioni più importanti sugli avversari, le statistiche più interessanti. Sull’avversario si lavora anche a livello individuale e di reparto. Ad esempio, l’allenatore in seconda (Maurizio D’Angelo), in base alle informazioni su come l’avversario di turno giochi in zona di rifinitura, lavora sulla linea arretrata negli ultimi quaranta metri di campo.

Il lavoro è comunque congiunto: non sono solo io a vedere le partite ma anche Inzaghi, D’Angelo, il collaboratore Simone Bonomi (che cura in particolare tutti gli aspetti individuali, relativi sia ai nostri giocatori che agli avversari)…è un lavoro d’équipe.

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Lo staff di Inzaghi a Benevento.

Il prodotto finale, il mister lo rivede anche fino all’ultimo momento prima di entrare in sala video, perché vuole avere tutto chiaro e si riserva di farlo modificare anche in extremis, appena prima di mostrarlo alla squadra. 

Gli Expected Goals (xG) sono stati (almeno in parte) sdoganati nel mondo angolo-sassone come strumento valido per quantificare la prestazione offensiva di una squadra in una determinata partita o in un determinato arco temporale della stagione. Cosa pensi dell’uso degli xG e quali limiti individui eventualmente in loro (ad esempio il fatto che se un’azione pericolosa non si conclude con un “tiro” essa non viene computata dal modello oppure il fatto che a volte non si tengono in considerazione il numero di avversari presenti davanti al tiratore…)? Il modello di Expected Goals varia a seconda dell’algoritmo utilizzato. Abbiamo così diversi modelli di xG (Ultimo Uomo, Michael Caley, Opta, 11tegen…). Tu quale usi e perché? 

Finalmente con gli xG è arrivata la possibilità di definire qualitativamente e non solo quantitativamente la prestazione. Noi siamo pieni di dati statistici relativi a tutto quello che riguarda la quantità della prestazione. Quello che però è più interessante è la qualità della prestazione. Nel concetto mi piacciono. La fotografia della quantità non basta, bisogna andare ad analizzare la qualità della prestazione. C’è un retroterra scientifico nel calcolare la qualità dei tiri con gli xG: se, tirando da una posizione, le statistiche ci dicono che 9/10 si segna, è oggettivo che un tiro da quel punto abbia un’alta percentuale di realizzazione. Poi è chiaro che non posso basare la qualità generale della prestazione solo con i tiri: ho tanti altri parametri di cui ho bisogno per fare questo, dalla qualità dei passaggi effettuati a quella delle riaggressioni etc…quindi il dato degli xG per me è valido, ma rifarsi soltanto agli expected goals per valutare una prestazione è a mio avviso limitante.

Noi li utilizziamo molto poco, facciamo comunque riferimento al modello Opta. Ho lavorato con loro e so come lavorano. Mi fido dei loro rilevamenti, sono fra i migliori d’Europa per la raccolta dati. 

Un altro modello che si è recentemente imposto all’attenzione, per quantificare la performance offensiva della squadra, è quello dell’IPO (Indice di Pericolosità Offensiva) proposto da Sics e Maurizio Viscidi. Cosa pensi di questo modello? 

Lo guardiamo molto, sempre perché crediamo molto nel calcolo della qualità della prestazione. L’IPO nasce da una grande intuizione di Viscidi, aiutato da Gagliardi. Per me è stata una intuizione straordinaria, perché ti permette di pesare a 360° la prestazione qualitativa della squadra. Noi lo usiamo moltissimo. La differenza con gli xG, oltre appunto al fatto che l’IPO valuta l’interezza della prestazione di una squadra (e non solo le conclusioni) è che gli expected goals hanno una valenza scientifica. L’IPO invece decide che un evento pesa più di un altro, quindi ha una valenza soggettiva ma è fatta da addetti ai lavori è questo fatto ha peso. Noi poi integriamo questo dato con uno studio di quelli che chiamiamo indici di efficienza: lavorando con K-Sport abbiamo infatti la possibilità di valutare la prestazione della squadra e del singolo per quanto riguarda fondamentalmente la parte senza palla.

Dato che un giocatore tiene palla per pochissimo tempo in una partita, come faccio a valutare la sua prestazione solo per quel tempo? Teniamo conto che in media un giocatore tocca palla per due minuti a partita (anche se ovviamente il dato dipende dal ruolo): e gli altri 88 cosa fa? Devo valutare anche la prestazione del giocatore quando non è in possesso di palla! In questo senso, guardiamo molto alle scelte fatte dal calciatore, ai suoi movimenti, sia in fase offensiva che difensiva, la tendenza a giocare in avanti (passaggio ma anche conduzione), la capacità di andare a pressare e la qualità della pressione individuale…con gli indici di efficienza riusciamo a valutare queste cose, integrando gli altri indici tecnico-tattici. 

Più difficile appare individuare dati e statistiche che misurino efficacemente le prestazioni difensive di una squadra. Un tentativo per risolvere il problema è stato fatto con il PPDA che calcola il rapporto tra i passaggi effettuati dalla squadra in possesso (nei primi 60 metri di campo) e gli interventi difensivi effettuati (tackle, intercetti) nella medesima zona della squadra che difende. Pertanto, più basso è il valore del rapporto e maggiore risulterà essere l’intensità del pressing della squadra in non possesso…cosa pensi dell’utilizzo di questo parametro e dei suoi limiti (a partire dal fatto che non dà informazioni qualitative sul tipo di pressione esercitata)?  

Concettualmente il PPDA non è sbagliato. Tuttavia, si tratta di un fattore che dipende da tante cose. Il fatto di essere intensi nel pressing infatti deriva dalla qualità (tecnica e tattica) della squadra che palleggia, dalla loro filosofia ma anche dalla qualità di chi difende, dalla qualità delle corse…personalmente credo più nella qualità del movimento: linee di corsa, qualità del pressing, capacità di saper capire quando rallentare e quando aggredire. 

Quali altri parametri eventualmente usi per quantificare la performance difensiva di una squadra? 

Indice di rischio di Sics, che poi integro con quei parametri di cui parlavamo prima (aggressività difensiva, pressing, movimenti senza palla difensivi…)  per pesare la qualità della prestazione difensiva dei singoli e della squadra. 

Quali sono le differenze fra i dati accessibili al pubblico e quelli usati dai professionisti del settore? 

Al pubblico di solito arrivano dati quantitativi (possesso, tiri, dribbling…). Per gli addetti ai lavori va bene la quantità ma la maggior parte del lavoro va fatta sul dato qualitativo, ad esempio guardando ai dati dei passaggi chiave, dei third pass (passaggio prima dell’assist) di Sics. Che Jorginho in una partita giochi 120 palloni mi dà una fotografia limitata della sua prestazione: a me interessa sapere quanti passaggi chiave, quanti filtranti ha fatto, quanti passaggi di qualità insomma. 

Quale sarà la prossima evoluzione nel calcio? Cosa pensi del fatto che nel calcio di oggi il ruolo sia più una funzione che una posizione per il calciatore? 

È una affermazione giustissima. L’importante sarà non emulare la moda del momento. Faccio sempre l’esempio di Guardiola, forse l’unico allenatore che negli ultimi vent’anni ha portato qualcosa di nuovo del calcio. Non bisogna però imitarlo. Credo che la prossima evoluzione nel calcio sarà quella di prendere spunto ma senza seguire le mode del momento. Bisogna avere la propria identità, la propria idea, ‘rubare’ da tutti ma non copiare pedissequamente la moda del momento, credere fortemente nella propria idea, portarla avanti per saperla trasmettere ai propri giocatori.

Bisognerà creare giocatori pensanti ma che sappiano riconoscere, fotografare e, soprattutto, scegliere nel minor tempo possibile…tutto questo ovviamente abbinato alla qualità. In base a queste caratteristiche dei giocatori posso trovar loro la funzione corretta e aggiustare il modulo in modo da renderlo fluido, meno rigido. 

Sono d’accordo su alcuni principi di occupazione degli spazi che portano avanti alcuni allenatori, sull’importanza di tenere uomini dislocati nelle zone di ampiezza, rifinitura e profondità, come in recipienti da riempire (è, questo, un modello portato avanti dal Club Italia grazie a Maurizio Viscidi e Antonio Gagliardi).

Il giocatore sempre di più dovrà essere duttile. Gli allenatori amano questo tipo di giocatori. Quello che conta sono però la qualità e le caratteristiche del giocatore. Perciò un giocatore che ha qualità tecnica e duttilità tattica, sfruttando le sue caratteristiche, ti potrà permettere non di far scomparire il ruolo ma di adottare dei moduli più fluidi, molto più elastici, meno rigidi. Ci sono squadre che attaccano in un modo e difendono in un altro, questo perché hanno giocatori duttili. Così vediamo ad esempio il play che si abbassa fra le linee in impostazione oppure l’interscambio della catena con la mezzala che si abbassa a fare il terzino, il terzino che si alza a fare l’esterno alto e l’esterno alto che si accentra a fare il rifinitore o, ancora, un terzino che si alza e l’altro che si accentra per sviluppare a tre…le caratteristiche tecniche, tattiche, fisiche e mentali ti portano ad adottare moduli flessibili. Se ho un play che è più un interdittore, non ha senso che lo abbassi in mezzo ai centrali per impostare…magari farò abbassare una mezzala.

Il ruolo deve essere non fisso ma funzionale, in base alle caratteristiche del giocatore.

Le squadre che hanno grandi qualità possono permettersi di aderire in toto al principio che citi, perché hanno qualità, duttilità, attitudine a cambiare e leggere la situazione, in tutti i giocatori. Cancelo se lo porti nel mezzo a fare la mezzala te lo fa, Cuadrado può fare il terzino a quattro, l’esterno alto del 4-3-3, il quinto del 3-5-2…a Verona avevo Romulo che faceva il terzino destro, l’esterno alto o la mezzala in un 4-3-3, il quinto in un 3-5-2. Fares nel settore giovanile faceva la punta centrale, con noi ha fatto la punta esterna nel 4-3-3 o il terzino, ora fa il quinto nel 3-5-2…ma parliamo di giocatori di grandi qualità con duttilità e con caratteristiche particolari.

Poi è chiaro che oggi nel calcio moderno devi saper fare più cose, come il portiere che deve anche saper impostare, così come il difensore…dico però che esiste una evoluzione del ruolo ma non che il ruolo non esista più. Altrimenti c’è il rischio che abbia ad esempio difensori bravi con la palla ma che in 1 contro 1 non sappiano difendere o portieri che sono abilissimi con i piedi ma che non sanno parare. Il no.1 deve saper parare e anche saper giocare la palla. Per questo credo che esista una evoluzione del ruolo: un giocatore deve essere completo, saper fare più cose…ecco appunto la duttilità ma non che non esistano più ruoli. Se facciamo scomparire il ruolo poi ci ritroveremo a rimpiangere il fatto che non esistono più i vari Chiellini, Barzagli, Materazzi, etc…i ruoli si stanno evolvendo nella loro completezza ma senza perdere di vista la loro origine. Fluidità, evoluzione e duttilità.

Grazie Simone, è stata un’intervista preziosissima e piena di spunti. Ringrazio ovviamente anche il Benevento Cacico della disponibilità. 

Grazie a te Michele per aver pensato a me e per avermi permesso di condividere il mio pensiero su questi temi.

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