Analisi tattica La mossa tattica

Zdeněk Italiano

Se si vogliono leggere le partite come un susseguirsi di episodi che, alla fine, determinano il risultato, allora è senz’altro accettabile definire la sfida di ritorno della semifinale di coppa Italia fra Atalanta e Fiorentina una gara indirizzata dall’espulsione di Nikola Milenković.

D’altronde, lo stesso tecnico gigliato Vincenzo Italiano ha fornito questa chiave di lettura. Tuttavia, se si vuole andare più in profondità e analizzare tutto il contesto, si può notare come anche quello che resta un evento episodico è in realtà frutto di motivi ben precise. Se dunque per la psicoanalisi (a torto o a ragione) non esistono nella mente eventi casuali (in quanto tutti figli del determinismo psichico), anche per il gioco del calcio ciò che succede sul campo è sempre direttamente connesso a cause specifiche.

Nel caso della Fiorentina questo si traduce in una fase difensiva lacunosa, che ha spesso portato i viola a concedere gol in fotocopia. Nel caso specifico, quello del cartellino rosso a Milenković che ha lasciato la compagine toscana in dieci, non si è trattato di subire una rete ma solo perché il centrale serbo ha deciso di provare un intervento alla disperata su Gianluca Scamacca lanciato a rete.

In questa circostanza l’allineamento della retroguardia viola e, in special modo, quello fra i centrali Milenković e Luca Ranieri, lasciava molto a desiderare.

Una situazione non dissimile da quella che aveva portato al gol del vantaggio atalantino segnato da Teun Koopmeiners dopo pochi minuti dal fischio d’inizio. Soprattutto, una situazione che è capitata spesso alla Fiorentina sotto la gestione di Italiano.

In generale, la Viola ha infatti preso spesso dei gol uguali da quando in panchina siede l’ex allenatore di Trapani e Spezia. La Fiorentina infatti si è ritrovata molte volte a dover raccogliere il pallone in fondo alla propria porta a seguito di azioni di contropiede orchestrate da avversari che trovavano una squadra sbilanciata e disallineata difensivamente.

Il copione, come detto, è quasi sempre lo stesso: Fiorentina in avanti attaccando con molti uomini o in situazione di pressing alto con uno contro uno a tutto campo, palla riconquistata dall’undici rivale, transizione e palla verticale senza copertura garantita da un centrale o dal portiere.

Solo per restare a questa stagione, ci sono state alcune situazioni per così dire illuminanti sulle problematiche registrate dalla Fiorentina in queste circostanze. Di seguito ne vediamo alcune.

La prima viene dalla partita contro il Milan. La Fiorentina sta attaccando a pieno organico per cercare di trovare il vantaggio. Al momento del cross di Cristiano Biraghi i Viola hanno altri sètte giocatori sopra la linea della palla.

L’azione si sviluppa poi con la riconquista del pallone da parte milanista e con gli uomini di Stefano Pioli che orchestrano il contropiede. Il momento topico della ripartenza rossonera avviene quando Rafa Leão riesce a ricevere palla verticalmente, approfittando di un’ultima linea gigliata disarticolata, con tre giocatori che stanno tenendo comportamenti diversi.

Situazione simile contro l’Udinese. La squadra di Italiano spinge con molto uomini ma si perde sul contropiede friulano, con Lorenzo Lucca che attira su di sé gli unici due giocatori che formano in quel momento il reparto difensivo viola e serve in profondità Sandi Lovrić per il gol del vantaggio bianconero.

Contro il Napoli in Supercoppa la Viola effettua una pressione alta che viene facilmente superata dai partenopei. Gli azzurri riescono così ad attaccare lo spazio in verticale contro un reparto difensivo di due uomini, con Milenković saltato e con Jonathan Ikoné a contrastare il portatore di palla avversario, facendo funzione da terzino dopo che Michael Kayode era avanzato per contribuire alla pressione alta della squadra.

Sotto questo aspetto la fase difensiva di Italiano ricorda quella di Zdeněk Zeman. Certo, ci sono alcune differenze importanti, a partire dall’orientamento sull’uomo nel modo di difendere del tecnico viola rispetto ad una difesa di reparto come quella del boemo. Ma l’idea di base è la stessa: aggredire in avanti per andare a cercare la palla senza preoccuparsi di lasciare campo alle spalle del reparto arretrato.

In questo senso il fuorigioco, più che una strategia difensiva (come veniva utilizzato ad esempio dalla nazionale belga agli inizi degli anni Ottanta) diventa la conseguenza di un certo modo di difendere.

Con Italiano la ricerca di una fase difensiva aggressiva e orientata sull’avversario ha coe esito quello di trovare molto spesso la linea spezzata, con un reparto per così dire minimo (cioè formato da due giocatori) a doversi occupare di difendere in campo grande (vale a dire con tanti metri alle proprie spalle).

È questo, difensivamente, un calcio kamikaze, certamente spettacolare per lo spettatore neutrale. Un po’ meno per il tifoso (come si suol dire). Vedremo se Italiano, al di là della facile ironia che serpeggia sui social, resterà immutabile nei suoi principi e se, di conseguenza, vorrà riproporre questa sua fase difensiva anche nell’eventualità in cui dovesse venir chiamato ad allenare in contesti più ambiziosi rispetto a quello attuale.

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