Intervista

Intervista a Enrico Silvestrin

Enrico, la musica torna a far notizia sui media mainstream, ma solo per le polemiche…dalle tue critiche espresse nei confronti del Love MI fino ai dissing degli ultimi giorni (J-Ax vs Meneguzzi, Bersani vs Sfera Ebbasta…). Non esiste altro modo per far parlare di musica in Italia?

Per affrontarla seriamente sembra di no. Sembra sempre tutto una barzelletta, si parla di dissing in maniera impropria, come se fossimo tutti dei rapper. Dibattito ce n’è stato poco, sono sempre stati interventi brevi e scomposti…le dinamiche sono le stesse dei social, portate altrove. Io mi offendo per questa derubricazione, non ricerco il click. Sono quattro anni ormai che mi occupo dell’analisi e della potenziale soluzione di quello a cui stiamo assistendo. Per me questo della musica è un tema molto serio e non mi piace venga trattato come la ‘simpatica’ moda dell’estate.

Per me è importante che inizi un trend di attacchi a questo grottesco establishment, anche da parte di chi fa parte dell’establishment (ma magari in maniera diversa). Purché il dibattito cresca qualitativamente. Perché se deve arrivare uno serio come Bersani a fare un commento così poco serio, che siamo messi così per colpa dell’auto-tune…questa è una stupidaggine. Il dibattito è un dibattito serio. Se c’è la volontà di aprire un dibattito, va fatto seriamente. Ma non sembra essere in atto un vero tentativo di ripristinare un orgoglio culturale qui da noi.

A tal proposito, riprendo quanto detto recentemente dal frontman dei Nine Inch Nails, Trent Reznor e da te sempre sostenuto: la musica non ha più l’importanza di un tempo. Ci ricordiamo della musica quasi esclusivamente perché la troviamo nei film, nei videogiochi o nei jingle pubblicitari. Come siamo arrivati a questo punto?

Purtroppo ci siamo arrivati con tutta una serie di concause. È però un dato di fatto. La centralità della musica ormai si è persa e lo sarà finché si punterà sulla velocità. E non vedo nessuno rallentare. La tendenza è TikTok, avere sempre meno tempo e creare nella gente la percezione di avere sempre meno tempo. La musica è un atto che, da un lato, ha la fortuna di poter essere sottofondo, ma dall’altro è vittima di questa fortuna (che diventa una sfortuna), perché diventa secondario e quindi non c’è più la ritualità, l’attenzione, la cura che aveva chi viene da un’altra generazione. A questo però noi possiamo adattarci. Così come possiamo abituarci ad ascoltare con la musica in secondo piano invece che in primo piano››.

Io continuo a dare importanza primaria alla musica, ma sicuramente non l’ascolto con quel tipo di ritualità che avevo prima. È molto più grave la mancanza della possibilità di poter mettere le mani su quello che contrasta il flusso principale, il mainstream. È tutto mainstream. Per esempio, in Paesi sfortunati come il nostro (dal punto d vista del provincialismo, della volontà di intercettare trend esteri) questo porta ad un sistema chiuso, stagnante, putrescente. Il nostro stato della musica è putrescente. Noi Italiani in generale abbiamo poca voglia di migliorarci (forse qualcuno, ma a livello individuale) e così andiamo a lavorare solo per il minimo che sia sufficiente per avere successo. Siamo nell’era dei numeri e della quantità, che sovrasta nettamente la qualità. Mi accontenterei di una musica secondaria di qualità. Il problema oggi è che la musica è secondaria, si trova in un ambiente chiuso ed è di qualità pessima.

Ad oggi, in Italia, sembra che la musica debba esistere solo come effetto nostalgia per i quarantenni e i cinquantenni…il presente è così brutto? Come mai secondo te accade questo? Forse perché l’obiettivo è quello di vendere (qualche raccolta, qualche greatest hits) o perché manca proprio l’idea di aggiornamento da parte di chi dovrebbe far conoscere la musica attuale?

Perché non si sente la necessità di trovare del coraggio. Un artista affermato potrebbe avere mille svolte nella sua carriera e continuare ad avere successo. Invece c’è la paura di alienarsi il pubblico. La stessa paura ce l’ha il direttore di una radio, di una televisione, di un giornale, di una casa discografica, ce l’ha il direttore di un locale che continua a giocare di rimessa con le cover-band…ce l’hanno tutti. ‘Se una cosa funziona, non la tocchiamo!’ Non ci chiediamo se sia qualitativamente importante o valida, ci chiediamo solo se funziona. Andiamo solo alla ricerca del profitto. Siamo settati solo sulla quantità. Nessuno prende dei rischi. E non è solo una questione di soldi, come dicono molti. Tanta musica e tanta qualità si può fare anche senza soldi. Sono le idee che mancano.

I soldi per delle grandi idee li trovi. Qui mancano le idee. Lo vedi in ogni ambito della cultura. Giochiamo di rimessa: nel cinema, nella musica, nel giornalismo, nella tv…chi ci prova poi viene accusato di esterofilia. C’è proprio mancanza di ambizioni. La società è tarata sulla quantità e sulla mediocrità.

La domanda delle domande, che vale sia per il mondo musicale che per quello calcistico: il mainstream ci propina quello che ci propina perché l’italiano chiede quello? Il trash musicale o le infinite pagine di calciomercato sono quello che la gente vuole ascoltare e leggere? Oppure, provando con contenuti di maggior qualità, cambierebbero anche i gusti del pubblico? Insomma, è ancora possibile generare un processo educativo nei confronti della società attuale?

Sì, è possibile. Questa sottovalutazione del pubblico è sbagliata. Se il pubblico non potesse cambiare non ci sarebbe tutta quella paura di alienare il pubblico di cui parlavamo prima. Il pubblico non è fermo lì. Si fa portare. Il problema è che tu devi sperare che il pubblico abbia desiderio di altro. Il guaio è quando non c’è un’alternativa. Ecco perché la controcultura è sempre stata fondamentale. La controcultura è come la squadra di provincia, che non vincerà mai lo scudetto però rompe le scatole, perché è difficile giocare in casa sua, perché è un esempio virtuoso, perché ti dimostra che contano le idee e non i soldi.

Facciamo un esempio col Milan. Nel Milan, che ha una grande fanbase, portare delle novità porta a una reazione molto scomposta e divisiva. Come si può sperare che l’italiano capisca la lungimiranza di un progetto a medio o lungo termine quando non lo capisce nemmeno per le cose della sua vita, quando è per il tutto e subito. In questa cultura del risultato (che è la cultura dei mediocri) se vuoi inserire qualcosa di nuovo, che abbia delle prerogative diverse, lo devi fare senza curarti dei commenti, di quello che la gente dice.

Che poi è esattamente quello che fanno i coraggiosi. I coraggiosi se ne infischiano di alienarsi il pubblico, perché sanno che o troveranno altro pubblico o cambieranno i gusti del loro, elevandolo.  Questa è la cosa più difficile da fare. Io lo faccio nel mio canale Twitch: ho portato le persone più bloccate, più restie al cambiamento, a smuovere lo status quo, ad andare verso qualcos’altro.

Nel calcio è più difficile, perché domina la cultura del risultato a tutti i costi. Io credo molto in chi porta novità, in chi ha idee perché più noi abbiamo un confronto con modelli virtuosi (guarda per esempio la nostra Dazn o come viene raccontata la Premier, con grafiche meravigliose e immagini che ti portano a volerla vedere) meglio è. Invece di solito, pur di risparmiare, non investiamo nella bellezza. Non investiamo nel contenuto e neanche nel contenitore.

E questo crea il dislivello, il non c’è paragone fra loro e noi. Quando però c’è il confronto, per esempio in Champions, non puoi stupirti quando gli altri comprano giocatori che tu non potrai mai avere. Serve una rivoluzione nel settore, che sia calcio o musica. Come sono riusciti a fare nel tennis.

Oggi per esempio, come milanisti, siamo quelli che piangono perché va via De Ketelaere, che non ha dato assolutamente nulla e che probabilmente è stato solo un acquisto sbagliato. E temo che chi lo piange oggi perché va via, piangerà l’anno prossimo se dovesse tornare dopo aver fatto male altrove. CDK non mi sembra un giocatore adatto al calcio italiano. Se dovesse smentirmi sarò contento umanamente per lui. Io però non ho visto nulla che possa farmi credere che sia un crack. Non penso che Gasperini possa risollevarlo. Se invece pensiamo che con il Gasp possa fare 30 gol e che la colpa dei suoi problemi al Milan sia stato Pioli, allora dobbiamo vendere Pioli e tenerci il belga:).

Abbiamo i contestatori al primo di giugno…la differenza rispetto ad una volta però è che prima commentavi dal salone di casa, ora invece c’è una vanagloria del commento. Il commento ti fa diventare qualcuno. Prima il commento restava in una cerchia ristretta. Ora invece si sfruttano arte, musica, calcio per cercare di lanciarsi….

Ben venga imitare qualcosa dall’estero. Una botta di estero qui dentro servirebbe.

A proposito di novità e di estero: ricordo qualche anno fa come parte della stampa italiana reagì all’ipotesi dell’arrivo del tedesco Ralf Rangnick sulla panchina del Milan. Ovviamente nessuno dei contestatori aveva idea di chi fosse Rangnick. Ritieni che esista in Italia una sorta di idiosincrasia per tutto ciò che viene da fuori e che è nuovo? Una sorta di convinzione di essere i migliori e di avere i migliori allenatori, i migliori giocatori…

Non credo. L’italiano odia chiunque abbia successo. Odia chiunque esca fuori dalla mediocrità. L’italiano spera nei fallimenti delle persone. Ha bisogno di mediocri intorno a sé. E infatti gli Italiani sono in grado di portare in alto il più grande campione dello sport e subito dopo di affossarlo con la stessa veemenza e crudeltà.

Semplicemente, l’italiano odia chiunque possa essere più bravo di lui. Io comunque oggi al Milan non vorrei un allenatore straniero. Io vorrei De Zerbi, cioè qualcuno che mi fa innamorare del suo calcio. Il calcio che vince, ormai è ampiamente dimostrato, è un calcio dinamico, di manovra, di costruzione dal basso…e infatti gli allenatori più pagati sono quelli che praticano questo gioco. Ed è il motivo per cui molti criticano Allegri, anche se porta dei risultati. Ad un certo punto vuoi anche il bello e questa è una cosa buona. Una volta invece non importava giocare bene o meno, l’importante era portare risultati. 

Al Milan abbiamo avuto Arrigo Sacchi, sappiamo cosa sia il bello. Sappiamo anche cosa significhi magari non vincere lo scudetto il secondo anno ma giocare un calcio eccezionale, da stropicciarsi gli occhi. È stato uno dei pochi casi dove, anche se non vincevi, alla fine in qualche modo avevi vinto lo stesso. Guarda il Brighton. A me piace vederlo giocare. Nel momento in cui vedo svilupparsi un’azione in una certa maniera, non importa il risultato. Per me può anche perdere 5-0!

Io sono sempre stato uno zemaniano. Va bene, mi interessa l’equilibrio in campo, con Zeman era diverso, ma io ricordo quando pagavo per andare in tribuna, da milanista, per andare a vedere la Roma di Zeman. Era uno spettacolo! Non era una questione di tifo. Andavo a vedere uno spettacolo, come al cinema o al teatro. Tiferò sempre per chi ha coraggio, per chi gioca un certo tipo di calcio. Se vedessi il Milan giocare come il Brighton sarei felicissimo, anche se dovessi arrivare quinto.

 Cosa pensi del licenziamento di Maldini e Massara e della virata ancora più decisa che la proprietà ha fatto verso l’utilizzo dei Big Data per la costruzione della squadra?

I numeri danno delle indicazioni. Non è che esce la pallina con il nome del giocatore. Rappresentano un aiuto nel mercato. È giusto che vengano utilizzati i dati. Non capisco perché non si debbano usare. È come scegliere fra Wikipedia e l’enciclopedia: fai come ti pare. Su Wikipedia hai la risposta subito. Se però vuoi prendere la scala, cercare il tomo dell’enciclopedia e leggerlo, va bene lo stesso. Non mi crea nessun problema. E non dovrebbe crearlo a nessuno di noi. Usare i dati sul mercato è una scelta della società. Riguarda loro, non noi tifosi. Se ci fosse una limitazione, ok:) Ma se posso usare più strumenti per fare mercato (dati, scout…) tanto meglio.

Per quanto riguarda Maldini e Massara…io non c’ero. Probabilmente non sapremo mai, o non lo sapremo per molto tempo, cosa sia successo. Credo che, da gentiluomini, nessuno abbia la volontà di rivelare cosa veramente sia successo dietro le quinte. Credo che Maldini se ne sia andato per incompatibilità caratteriale. E l’aver fatto un mercato fallimentare ha facilitato il suo licenziamento. Detto questo, Maldini i motivi per farsi allontanare li ha forniti a livello di atteggiamento e di dichiarazioni.

Era il più grande dirigente del mondo? No. Era il miglior dirigente per il Milan? Non lo so. Il mercato scorso lo ha sbagliato. E mi dispiace perché credevo in quel mercato. Ma il mercato è una scommessa. Nessuno ha la certezza che sia un successo. Per quanto io gli debba essere riconoscente per il fatto di essere stato parte di un Milan che ha riportato a casa uno scudetto, ha delle responsabilità per la scorsa stagione. Non sono tutte sue, vanno distribuite, l’allenatore aveva quelle più grandi….

Come valuti la campagna acquisti condotta finora da Moncada? I nuovi ti convincono? E Pioli ti convince?

I nuovi che ho visto, sì. Però non li abbiamo visti tutti. Tijjani Reijnders mi piace, Pulisic mi piace, Loftus-Cheek mi piace, Luka Romero mi piace. Voglio vedere gli altri. Soprattutto come staranno in campo. Se dovessi continuare a vedere Krunić là in mezzo, è chiaro che sarebbe un problema. Vediamo Musah dove andrà a giocare, in quale posizione. Non posso pensare che questa squadra sia stata costruita per avere Krunić nel mezzo.

Aspettiamo. Per ora le carte sono coperte e il mazzo non è completo. Quello che non mi è piaciuto è che si continua a insistere con una costruzione dal basso che passa da Tomori. È evidente a tutti che l’inglese non possa gestire palla in uscita. Vorrei vedere un cambiamento nella costruzione dal basso. Invece ho visto le stesse cose dello scorso anno. Questo mi spaventa. Hai la possibilità di studiare, di prendere dagli altri (e Pioli ha avuto questo merito in passato) e invece continua a fare le stesse cose e a giocare sulle sgroppate di Leão. Voglio vedere dinamismo ma organizzato, non gente che prende palla cercando di saltare l’uomo e se non va bene riproviamo, oppure giocare sulle seconde palle.

Ho visto un miglioramento sulle palle aeree, ma anche una squadra ancora troppo scombinata in campo. Se Pioli dovesse far male la mia delusione non sarà solo per lui, ma anche per chi ha deciso di confermarlo dopo che l’anno passato ti aveva dato non uno, ma cento motivi per capire che forse non andava più bene per il Milan. Non credo che l’abbiano confermato per fare da parafulmine. Di base, la società ha fiducia in Pioli, io no. Io ho fiducia nei dirigenti, loro ne hanno in Pioli e allora devo averne un po’ anch’io.

Quello che ho visto in questa tournée americana (detto che sono contento che siamo tornati in Italia, per me la preparazione dovrebbe essere tradizionale con ritiro in montagna e amichevoli a difficoltà crescente e tanta tattica), da prendere ovviamente con le molle, per certi versi mi è piaciuto, per altri no. Speriamo che Pioli torni umile. Questo è l’anno in cui si gioca tutto: se dovesse venire esonerato, il suo futuro è fare il commentatore Tv.

Ultima domanda: la tua mediana ideale, visto che se ne parla continuamente questi giorni, anche per via dell’arrivo di Musah.

Io penso che si debba partire dal 4-3-3. È abbastanza imprescindibile giocare con le mezzali. In teoria Musah al centro con Loftus-Cheek e Reijnders ai lati. Servono ancora un centravanti e un terzino destro. E non mi sento molto sicuro in Tomori. Non mi dà sicurezze. Comunque il club mi sembra che si astia muovendo bene, anche a livello di cessioni.

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