Come si sta evolvendo il Manchester City

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‹‹Energia, energia, energia››. Una semplice parola, ripetuta tre volte. È questa la chiave di lettura data da Pep Guardiola dopo la vittoria sul Nottingham Forest che ha ulteriormente rilanciato, se mai ce ne fosse stato bisogno, le ambizioni di primato da parte del Manchester City.

«Avete visto oggi come hanno corso?», ha detto il catalano dopo la gara. «Ma il problema non è correre – (noi siamo) forse una delle squadre della Premier League che corre di più – è incredibile».

I cambiamenti che sta sperimentando la Premier, con un ritorno al calcio verticale, più diretto, ha segnato per Guardiola la necessità di un nuovo processo di adattamento. Il suo City ha incorporato aspetti di questo tipo di approccio.

In base ai dati forniti da Opta i Citizens sono ancora la squadra che in Premier ha le sequenze offensive più lunghe (13.45sec.) nonché quella che effettua il maggior numero di passaggi per azione d’attacco (4.76) e che spotsa più lentamente il pallone verso la porta avversaria, una volta entratone in possesso (1.63 m/s).

Nonostante questo però Guardiola ha inserito nel repertorio azioni verticali veloci, come quella che ha portato la sua squadra a segnare la terza rete contro il West Ham.

Protagonista di questa marcatura è stato Erling Haaland. Proprio la presenza del centravanti norvegese ha influito su questo nuovo aspetto del Manchester. E infatti la rete realizzata contro gli Hammers è stata la sesta su transizione messa a referto dal City in questa Premier League. Un bel salto in avanti rispetto alle cinque complessive racimolate nelle due stagioni precedenti messe insieme, in base ai dati forniti da The Athletic.

A questa evoluzione (l’ennesima nella parabola del Guardiola allenatore, cosa che rende bene l’idea del perché l’ex centrocampista del Barcellona di Johan Cruyff sia un tecnico ancora sulla cresta dell’onda dopo tanti anni ai vertici, in un periodo in cui il ricambio generazionale in panchina sembra sempre più veloce) hanno probabilmente contribuito anche i nuovi membri dello staff che il cinquantaquattrenne nativo di Santpedor ha aggiunto al suo gruppo di lavoro, vale a dire Pep Lijnders (ex assistente di Jürgen Klopp), l’ex difensore Kolo Touré e lo specialista dei calci piazzati James French (anch’egli ex Liverpool).

Sul fatto che Guardiola abbia incorporato questo tipo di giocate all’interno del playbook del City, si è già discusso più volte. Quello di cui si è parlato meno, alle nostre latitudini, è di come Guardiola sia arrivato a ciò. Sotto questo aspetto, si deve chiamare in causa il modo in cui il Manchester attacca quest’anno.

Già nella seconda parte della scorsa stagione il tecnico catalano aveva scelto di dare alla squadra una struttura diversa, andando a lasciare un solo uomo per parte in ampiezza quando attacca e riempiendo i canali centrali con gli altri giocatori offensivi.

All’interno di questo contesto hanno assunto una funzione centrale soprattutto Phil Foden e Rayan Cherki. Il primo, agendo da numero 10 alle spalle di Haaland, e il secondo, alternandosi tra l’esterno e il corridoio centrale, hanno entrambi contribuito a rendere il gioco del City più fluido rispetto al passato, favorendo una circolazione basata su relazioni tecniche e posizionamenti dinamici tra gli avversari, piuttosto che sull’occupazione rigida di zone predefinite o sulla semplice ricerca degli spazi tra le linee.

Un’ossatura del genere fra l’altro permette al Manchester di difendere bene il centro in caso di palla persa, garantendosi una protezione contro quei contropiedi solitamente letali per il City.

Per incorporare questo aspetto nel suo calcio, Guardiola ha anche accettato di lasciare libertà creativa a Cherki. Arrivato in estate dal Lione, il calciatore transalpino ha varcato la Manica accompagnato appunto da dubbi relativi alla sua adattabilità a un calcio ossessivamente orientato al controllo come quello di Guardiola.

Il problema in verità nemmeno si è posto dato che lo spagnolo ha scelto di allentare i lacci attorno al suo numero 10, che ha risposto con una stagione da cinque reti e dieci assist tutte le competizioni comprese (terzo marcatore della compagine inglese dopo Haaland e Foden).

Oggi quindi le perplessità che circondavano il ventunenne, pagato €36 milioni, sono state dissipate, tanto che già si parla di lui come del possibile acquisto dell’anno in Premier. Chissà se questa autonomia avrebbe finito per avvantaggiare in passato anche quel Jack Grealish costretto invece a emigrare all’Everton per ritrovare il suo gioco, decaffeinato da Pep durante gli anni di Manchester.

Le difficoltà degli avversari nel leggere e contenere un City che può contare esternamente sulla spinta di Matheus Nunes a destra e di un Nico O’Reilly diventato titolare a sinistra, sono acuite dalla presenza di Jérémy Doku. Il laterale belga a volte viene utilizzato in ampiezza mentre in altre circostanze si ritrova a giocare centralmente, andando a riempire di ulteriore qualità quella zona di campo.

Con la sua velocità palla al piede e col suo dribbling (9.07 quelli provati per 90 minuti, con una percentuale di riuscita del 47.8% in base ai dati Fbref) Doku si è ulteriormente evoluto, diventando un elemento di grande impatto per un City che, con l’ex Rennes e i già citati Foden e Cherki, può vantare una batteria di fantasisti in grado di competere con quelle di Psg (Khvicha Kvaratskhelia, Ousmane Dembélé e Désiré Doué) e Barcellona (Lamine Yamal, Raphinha e Ferrán Torres).  

A supporto dei tre (e di Haaland) c’è poi una mediana che, accanto a Bernardo Silva, può contare su equilibratori come l’ex milanista Tijjani Reijnders e l’argentino Nico González.

Grazie anche a loro, oltre che al modo in cui Guardiola ha ridisegnato la squadra, ora il City è diventata una minaccia per le speranze di titolo dell’Arsenal di Mike Arteta. Non male considerando il fatto che a ottobre, dopo aver perso con l’Aston Villa, il Manchester si trovava a 6 lunghezze dai Gunners.

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