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Durante la sosta novembrina per le nazionali è stato particolarmente interessante ascoltare le conferenze stampa di Carlo Ancelotti. Alla vigilia del secondo impegno della Seleçao nella pausa (contro il Senegal) il cittì dei verdeoro ha parlato di quella squadra che, nei mondiali del 1994, vinse il titolo sconfiggendo ai rigori l’Italia di Arrigo Sacchi, del quale Ancelotti era in quel momento il vice.
Pur ammettendo di non essere stato un ammiratore del calcio prodotto dalla selezione sudamericana, Ancelotti ha rimarcato come la solidità difensiva sia stata la chiave di volta di quel Brasile affidato alle cure di Alberto Parreira e Mario Zagallo.
‹‹La storia della penultima vittoria del Brasile ai Mondiali era incentrata sulla difesa. Non mi piaceva molto il loro gioco. Ricordo i Mondiali del 1994: la squadra era molto solida, con due attaccanti, due linee da quattro e con Romário e Bebeto davanti a fare la differenza››, ha ricordato Ancelotti.
L’undici mandato in campo dai brasiliani nella finale di Pasadena era così composto: Taffarel; Jorginho, Aldair, Marcio Santos, Branco; Mazinho, Mauro Silva, Dunga, Zinho; Romário e Bebeto.
Quella formazione era in scia con quella, altrettanto accorta difensivamente, presentata quattro anni prima in Italia da Sebastião Lazaroni. Il risultato finale fu ovviamente diverso (il Brasile nel 1990 si fermò agli ottavi di fronte all’Argentina di Diego Maradona), così come diversa fu l’impostazione tattica.
Abbandonata al linea a cinque presentata da Lazaroni, Parreira negli Stati Uniti tornò a schierare una difesa con quattro elementi. Paradigmatica del calcio praticato dalla Seleçao in Nordamerica fu la presenza in mezzo al campo di Mauro Silva e Dunga. Soprattutto il primo fece storia, poiché si rivelò il più efficace schermo difensivo dell’intera manifestazione iridata.
Non molti però ricordano che l’intero centrocampo era organizzato in modo tale da garantire alla squadra copertura nei corridoi centrali. Dunga, Mazinho e Zinho infatti lavoravano spesso vicini in non possesso, consentendo così a Mauro Silva di agire da vero e proprio libero davanti alla difesa.
Una soluzione che consentiva al Brasile di poter contenere facilmente le transizioni avversarie. Per varare questa mediana muscolare Parreira e Zagallo non si fecero problemi a far fuori Raí. Il fratello di Sócrates era elemento di grande qualità, con un lancio preciso, ma era lento dal punto di vista dinamico e non poteva garantire la stessa copertura degli elementi scelti come titolari al suo posto.
In pratica, anche per la consanguineità con l’ex giocatore di Corinthians e Fiorentina, la scelta di panchinare Raí divenne simbolica del tipo di calcio che il Brasile voleva giocare. Un calcio pratico, più attento al risultato che al lato estetico, tanto da mettere fuori il proprio numero 10 (appunto Raí) e far così voltare pagina rispetto alla gioiosa macchina da guerra messa in piedi da Telê Santana nel 1982, quando l’allora ex commissario tecnico brasiliano presentò una mediana con Sócrates, Falcão, Zico e Éder contemporaneamente in campo.
L’idea di Ancelotti pare dunque essere quella di prendere il Brasile del 1994 come modello. Alcune scelte viste in questo break sembrano proprio andare in tal senso. Ha molto colpito ad esempio la decisione di utilizzare Militão come terzino destro.
Spostare in fascia il difensore del Real Madrid, solitamente un centrale, consente ad Ancelotti di poter schierare un laterale destro di difesa più abile in fase di contenimento rispetto ai due presunti titolari nella posizione, il romanista Wesley e Vanderson del Monaco.
A metà campo poi è Casemiro il maggiore indiziato per ricoprire le veci che furono di Mauro Silva oltre trent’anni fa. Il giocatore del Manchester United ha comunque in Fabinho (ex Liverpool, ora all’Al-Ittihad) una valida alternativa.
La questione semmai riguarda l’elemnto di palleggio da affiancare ad uno dei due. Oggi Ancelotti può contare solo su Bruno Guimarães del Newcastle e su Lucas Paquetá del West Ham. Come ha fatto notare Felipe Saad del canale Ligue 1+ a L’Équipe, i centrocampisti più importanti delle prime tre squadre del campionato brasiliano (Flamengo, Palmeiras e Cruzeiro) sono tutti stranieri.
Sulla base di quanto affermato da Ancelotti (e posto comunque che mancano ancora molti mesi all’inizio della Coppa del Mondo) qualche chance di ritrovarsi utilizzato spesso ce l’ha anche Rodrygo. Anche lui giocatore del Real (come Militão) Rodrygo possiede delle doti di equilibratore tattico che Ancelotti ha già avuto modo di sperimentare con successo proprio quando il tecnico emiliano ha allenato i blancos.
Rispetto al 1994 però il Brasile del 2026 dovrebbe avere in campo un numero maggiore di elementi offensivi. Oltre a Vinícius Jr. e ad un altro riferimento offensivo (ne parliamo fra poco) infatti Ancelotti potrebbe utilizzare anche Estêvão (in gol contro il Senegal), dando al suo 4-4-2 la forma di un 4-2-4 in fase di possesso.
Al di là di queste considerazioni, Ancelotti ha da sciogliere proprio il nodo del giocatore a cui affidare la maglia di numero 9. Un Romário all’orizzonte non c’è. La Premier, il campionato più importante del mondo, offre João Pedro, Richarlison e Igor Thiago.
In Brasile molti vorrebbero la promozione del centravanti del Flamengo, quel Pedro passato come una meteora nel nostro campionato, dove ha vestito la maglia della Fiorentina. Ancelotti però non sembra vederlo bene. Matheus Cunha del Manchester United potrebbe essere adattato come falso nueve. A tal proposito Ancelotti ha detto che ‹‹la posizione di Matheus Cunha è molto importante, perché aiuta l’uscita palla tra il centrocampo e l’attaccante. Con lui, i tre davanti possono creare giocate fantastiche. Vinícius può scambiarsi di posizione con Rodrygo, perché è abituato a farlo ed Estêvão ha un talento incredibile sulla destra. È sorprendente vedere un giocatore così giovane con questo tipo di talento. È molto preciso e molto incisivo. Con lui, il Brasile ha un futuro garantito››.
Resta sempre disponibile la soluzione Neymar. L’ex Barcellona non gioca in nazionale da due anni e la sua stagione al Santos non sta andando come previsto.
Ancelotti ha invitato il trentatreenne paulista a riciclarsi da rifermento centrale. Una soluzione che potrebbe riaprire a Neymar le porte della Seleção, magari non da titolare ma per qualche spezzone di partita.
Di certo, per sostenere tutte le ipotesi di attacco sopra menzionate Ancelotti avrà bisogno di un grande lavoro difensivo da parte del blocco 4+2 composto da difesa e linea mediana. Per questo il paragone col Brasile del 1994 ha senso. Il pericolo però è quello che la squadra si ritrovi ad un certo punto a giocare un 6-4 con i reparti molto allungati. Una situazione che andrà assolutamente evitata, specialmente contro quelle formazioni che fanno del contropiede la loro arma migliore.


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