La Lazio lascia sul piatto un derby che avrebbe meritato di pareggiare, al termine di una partita old school, che ha richiamato alla mente le vecchie stracittadine degli anni Ottanta: poco gioco, manovre spezzate da continui fischi arbitrali, duelli rusticani e, per condire il tutto, due espulsioni (delle quali una a partita terminata).
Il derby perso è però l’occasione per fare il punto sulla Lazio del Maurizio Sarri 2.0. Un progetto tecnico che non sta andando come sperato, per tutta una serie di fattori. In primis, ovviamente, l’impossibilità del club biancoceleste di poter fare mercato. Uno stop del quale il tecnico toscano è venuto a conoscenza soltanto dopo aver firmato il contratto che lo ha riportato a Formello a distanza di due anni dall’ultima panchina nella Capitale.
La squadra che Sarri si è trovato ad ereditare dalla precedente gestione (quella di Marco Baroni) non è adatta al suo tipo di calcio. Alcuni problemi erano di per sé evidenti anche durante il primo governo Sarri, a partire dall’inconcludenza del Taty Castellanos. Il giocatore spagnolo ha caratteristiche più adatte di Boulaye Dia per interpretare il ruolo di centravanti nel 4-3-3 del tecnico, ma resta poco efficace in fase di finalizzazione. Da parte sua invece Dia, schierato un po’ a sorpresa titolare nel derby, attacca meglio la profondità rispetto allo spagnolo, ma non è funzionale al gioco palleggiato che Sarri vuole.
A proposito di quest’ultimo aspetto, i problemi maggiori Sarri li riscontra a metà campo. I due centrocampisti titolari, Nicolò Rovella e Mattéo Guendouzi, sono adatti ad un’idea più verticale, come visto l’anno scorso nella prima parte di stagione. In una mediana a tre, con compiti di gestione della palla, sia l’italiano (da play) che il francese (da mezzala) faticano, non riuscendo nemmeno a sostenere l’intensità di palleggio voluta da Sarri.
All’ex tecnico di Napoli, Chelsea e Juventus manca poi totalmente una mezzala di possesso. Non lo sono i due giocatori citati prima e non lo è nemmeno il nigeriano Fisayo Dele-Bashiru. Forse potrebbe diventarlo Reda Belahyane, ma il marocchino fino ad oggi si è fatto notare solo per il cartellino rosso ricevuto nel derby (per un fallaccio sul romanista Manu Koné) pochi minuti dopo essere stato mandato in campo.
E così, dopo quattro giornate di campionato, la formazione biancoceleste si ritrova ad avere in appena tre punti, frutto dell’unica vittoria ottenuta a spese del Verona (4-0). Le altre tre gare (oltre al derby ci sono state le trasferte a Como e a Reggio Emilia per affrontare il Sassuolo) sono state perse.
Certo, le sconfitte maturate sono di ordine diverso, ma tutte portano con sé qualche aspetto delle difficoltà di questo primo scorcio di stagione. A Como ad esempio la Lazio ha patito il gioco posizionale degli uomini di Cesc Fàbregas. Per avere la meglio sugli Aquilotti il tecnico spagnolo non ha poi dovuto fare granché. All’ex giocatore di Arsenal e Barcellona è bastato andare ad occupare i mezzi spazi per mettere in ambasce il dispositivo difensivo a zona della linea a quattro laziale.
Col Sassuolo, una distrazione su calcio d’angolo è stata fatale. Nel derby poi, ecco un’altra leggerezza pagata a caro prezzo. Stavolta è toccato a Nuno Tavares che, invece di calciare lontano la palla, ha preferito tornare verso la propria area di rigore, finendo vittima della pressione romanista. Conseguenza di perdita è stato il gol vittoria realizzato da Lorenzo Pellegrini. La partita, di per se stessa, è risultata episodica. Anche i laziali hanno avuto le loro opportunità, ma non sono riusciti a sfruttarle (clamoroso l’errore di Dia, tutto solo davanti a Mile Svilar).
I mali della Lazio sono quindi di ordine tattico, ma, come si evince, anche mentale (livello di concentrazione dei singoli). I problemi però nascono da lontano. In estate si è pensato che il solo rientro alla base di Sarri potesse garantire alla squadra un ritorno ai livelli di competitività del 2022-23, l’anno del secondo posto in classifica e della conseguente qualificazione in Champions. Quella squadra però, oltre a vantare un tasso qualitativo superiore a quella attuale (basti citare la presenza in rosa di Sergej Milinković-Savić e Luis Alberto) aveva giocatori adatti al Sarri – ball. Cosa che, come spiegato in apertura, non può esser detta dell’organico attuale.
Senza poter fare mercato (per le note vicende legate all’indice di liquidità) la dirigenza biancoceleste ha consegnato a Sarri la stessa rosa della scorsa stagione che, però, era stata costruita per un calcio più verticale. Tutto ciò senza dimenticare come l’organico avrebbe avuto bisogno di rinforzi a prescindere dal modello di gioco predicato dall’allenatore. In difesa, ad esempio, mancano terzini in grado di contribuire anche alla fase difensiva. In avanti non c’è un giocatore in grado di assicurare un congruo bottino di reti. Inoltre, la squadra soffre il pressing avversario.
Questo lo stato attuale delle cose. Cosa potrebbe fare Sarri per provare a tenere in piedi la baracca fino a gennaio, sperando poi che il mercato invernale riapra i battenti anche per la Lazio? L’allenatore potrebbe provare a invertire il triangolo di centrocampo, in modo da offrire un supporto a Castellanos (Dia come l’anno scorso? Tijjani Noslin?) nel quadro di una ristrutturazione del modello di gioco, da orientare verso una maggiore e più immediata ricerca della profondità. Un’idea sulla quale discutere, così come quella di utilizzare, in alcune partite, Manuel Lazzari (quando disponibile) da esterno alto, col compito di retrocedere per aiutare i quattro difensori in fase di non possesso.
Nel frattempo, incombe la trasferta sul campo del Genoa, lunedì prossimo. Partita che Sarri dovrà affrontare senza gli infortunati Rovella e Dele-Bashiru (usciti malconci nel derby) e senza lo squalificato Guendouzi. Per questo si sta valutando il reintegro in lista di Toma Bašić (mentre, in avanti, si aspetta il recupero di Gustav Isaksen). Chissà che il croato non fornisca quelle risposte che Sarri sta cercando anche in mediana. Il tempo stringe. Il vero pericolo è ritrovarsi a dover attraversare un lungo deserto: un campionato anonimo, confinato nella mediocrità del centro classifica.


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