Foto: IMAGO / Seskim Photo TR
Dopo soli quattordici mesi in carica, José Mourinho è stato esonerato dal Fenerbahçe. La squadra turca, guidata dall’ambizioso presidente Ali Koç, non è dunque stata soddisfatta dei risultati ottenuti dal portoghese, in particolare dal fatto di aver mancato la qualificazione al maxi raggruppamento di Champions (i canarini gialli sono stati eliminati dal Benfica).
Tutto ciò nonostante una campagna di rafforzamento che ha visto arrivare sul Bosforo i vari Jhon Durán, Nelson, Sofyan Amrabat, Edson Álvarez e Milan Škriniar. A detta di The Athletic però il portoghese ha pagato anche il solito atteggiamento di superiorità mostrato nei confronti dell’ambiente turco, ben espresso da vari episodi come quello della manata rifilata a Okan Buruk durante il derby con il Galatasaray o come quelli relativi alle numerose altre controversie provocate.
In Italia l’esonero ha fatto rumore, perché si è accompagnato all’idea che il ciclo da grande allenatore di Mourinho sia giunto alla fine. E questo non per una questione anagrafica (Mourinho ha sessantadue anni ed è, per dire, più giovane di Luciano Spalletti) quanto per una proposta di gioco ritenuta sorpassata. Considerazioni che mi sembrano non cogliere il punto della questione.
All’inizio della sua carriera (fino agli anni del Porto, squadra da Mou riportata sul tetto d’Europa) l’idea di calcio del portoghese era alquanto proattiva. Successivamente invece il tecnico di Setúbal ha deciso di sposare una causa più difensivista, in concomitanza con l’emergere della figura di Pep Guardiola.
Ad un certo punto la contrapposizione fra il calcio di Mourinho e quello predicato dal tecnico catalano è diventata tale da dividere in due l’opinione pubblica, a livello mondiale. Una divisione che, per certi versi, ha ricordato (ovviamente con una cassa di risonanza maggiore dettata dalla presenza dei social e dalla interconnessione globale permessa dalla rete) quella che si venne a creare a fine anni Ottanta in Italia fra sostenitori di Giovanni Trapattoni e del suo modello di gioco all’italiana e discepoli di Arrigo Sacchi e della zona.
In questa occasione Mourinho non soltanto ha abbracciato il ruolo di contraltare del suo ex giocatore (a Barcellona Pep e Mou avevano lavorato insieme, l’uno in campo e l’altro come assistente di Bryan Robson), ma si è addirittura immedesimato nella parte del villan, il cattivo che si opponeva al buono e glorificato eroe (Guardiola), portatore di un calcio nuovo.
Con questa nomea di anti-Pep (resa ancor più solida dalla famosa gara di ritorno fra Inter e Barcellona nella Champions del 2010 vinta dai nerazzurri) il portoghese ha trascorso tutto il resto della sua carriera. Più che l’idea di gioco però, a far restare nella storia Mourinho è stata la sua metodologia, quella Periodizzazione tattica che, appresa alle lezioni tenute dal professor Vitor Frade al FADEUP (la facoltà di scienze sportive di Oporto), è ancor oggi un punto di riferimento valido nella programmazione di molti allenatori.
Sotto questo aspetto, non è dunque possibile affermare che Mourinho sia superato. I problemi riguardano invece il modo in cui viene declinata questa metodologia e il rapporto con i giocatori. Per quanto riguarda il primo punto, il calcio di Mourinho (diversamente da quello della sua nemesi Guardiola) non si è evoluto negli ultimi anni. E questo nonostante i recenti cambiamenti avvenuti nel suo staff, che nelle ultime annate ha visto mutare diverse figure chiave (a partire da quel Rui Faria che, dopo essere stato per tanti anni il braccio destro di Mourinho, ha deciso di iniziare una carriera da allenatore capo). O, forse, proprio questo tourbillon di assistenti potrebbe aver inciso negativamente a livello di prestazioni e di risultati.
In ogni caso, l’impressione è che Mourinho faccia fatica a connettersi con una nuova generazione di calciatori, più individualisti, più attenti alla gestione di se stessi e di quanto li circonda in quanto diventati piccole aziende indipendenti. Le tensioni registrate a Roma con Chris Smalling, Lorenzo Pellegrini e Rick Karsdorp o il confronto avuto con Allan Saint-Maximin alFenerbahçe (col francese escluso dalla squadra per la sfida di Europa League contro il Rangers) sono lì a testimoniarlo.
Difficile dire se Mourinho saprò rialzarsi ancora una volta. Di certo, in un mercato saturo come quello degli allenatori e con questi risultati e comportamenti alle spalle negli anni recenti, sarà difficile rivedere il portoghese ad altissimo livello. Può darsi che qualche occasione, alla fine, venga fuori (con la nazionale portoghese? Al Nottingham Forest al posto del connazionale Nuno Espírito Santo qualora quest’ultimo venisse esonerato da Evangelos Marinakis?). A quel punto però Mourinho avrà davanti a sé l’ultima chance per dimostrare di poter dire ancora la sua nel calcio che conta.


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