Il futuro delle squadre brasiliane

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Le formazioni brasiliane sono uscite a testa alta dalla Copa del Mondo per club. E ora? È, questo, quello che si chiede il giornalista inglese Tim Vickery, da oltre trent’anni residente nel paese sudamericano.

Una domanda interessante. Alla vigilia del torneo voluto dalla FIFA per sfidare l’egemonia della Champions organizzata dalla UEFA (almeno a livello di competizioni per club), nemmeno il più ottimista dei tifosi brasiliani si sarebbe aspettato che le quattro rappresentanti del fútbol bailado (Palmeiras, Flamengo, Fluminense e Botafogo) potessero arrivare così avanti.

Che cosa ci ha detto il successo delle compagini brasiliane nella competizione? Prima di tutto che il Brasileirão non è un campionato da sottovalutare. Molto lontano da noi (nessuno lo trasmette in Italia) il massimo campionato locale è considerato il sesto miglior torneo mondiale (dopo Premier, La Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1) in base a uno studio condotto dal Twenty First Group e riportato da The Athletic.  

Ora, detto che questo tipo di analisi lasciano il tempo che trovano, è innegabile come, da sempre, il massimo torneo brasiliano sia un laboratorio tattico di idee interessanti e, cosa arcinota, una fucina di talenti. L’arrivo massiccio di tecnici portoghesi nelle ultime stagioni ha infatti beneficiato il Brasileirão, contribuendo allo sviluppo delle conoscenze tattiche e metodologiche di molti allenatori brasiliani.  

La forza economica dei club inoltre ha messo queste società in grado di attirare del talento da fuori. Il Brasileirão quindi non è più solo una farmer league dove produrre giocatori che poi vengono acquistati a peso d’oro dalle squadre europee (non ultimi i casi di Estêvão al Chelsea e di Igor Jesus al Nottingham Forest) ma anche un torneo in grado di importare calciatori di talento. Sotto quest’ultimo aspetto, non si tratta soltanto di giocatori che tornano in Brasile per prendere gli ultimi spiccioli di carriera (come Thiago Silva o Neymar) ma anche di giocatori che sono ancora nel pieno della loro carriera. A tal proposito basti ricordare due esempi come quelli di Gerson e Vitor Roque. Il primo, ex Roma e Fiorentina, è stato recentemente ceduto dal Flamengo allo Zenit San Pietroburgo, dopo che il Mengão aveva però sborsato 15 milioni di euro al Marsiglia per farlo rientrare in Brasile. Da parte sua Vitor Roque era stato acquistato dal Palmeiras (che lo ha prelevato dal Barcellona) per qualcosa come 25.5 milioni di euro.

E non basta. Come fa giustamente notare Vickery nel suo articolo, il Brasile è diventato il campionato di riferimento per tanti talenti provenienti dal resto del Sud America. Il trequartista uruguaiano Giorgian De Arrascaeta, ad esempio, ha raggiunto il Flamengo nel 2019 dopo che il club Rubro-Negro ebbe a pagare 18 milioni di euro al Cruzeiro (che lo aveva comprato a sua volta nel 2015 versando 4 milioni di euro nelle casse del Defensor Sporting di Montevideo). Il diciottenne trequartista argentino Álvaro Montoro è stato ceduto dal Vélez Sarsfield al Botafogo per 7.9 milioni di euro.

Per restare ad oggi, durante la pausa del campionato indetta per consentire alle quattro formazioni brasiliane la partecipazione alla Coppa del Mondo, il Palmeiras ha pagato 12.5 milioni di euro al Nottingham Forest per assicurarsi il cartellino del paraguaiano Ramón Sosa.

Detto che, al momento, questa rinnovata forza economica non permette alle società di trattenere i migliori talenti (che continuano a partire per l’Europa) il passaggio successivo che il calcio brasiliano dovrebbe fare per svilupparsi ulteriormente è quello di continuare a migliorare le strutture a disposizione dei club, magari di ridurre le partite in calendario annualmente e di continuare a importare tecnici da fuori. Cosa che in parte sta già avvenendo, come dimostrano gli arrivi di Davide Ancelotti sulla panchina del Botafogo e di Hernan Crespo su quella del San Paolo.

Anche l’approdo di Carlo Ancelotti alla Seleçao dovrebbe contribuire a sviluppare ulteriormente il livello del calcio brasiliano, dato il confronto che potrebbe venire a crearsi fra l’italiano e gli allenatori locali. Senza comunque dimenticare che i tecnici brasiliani sono comunque preparati, come ha dimostrato Renato Gaúcho guidando il Fluminense alla semifinale della Coppa del Mondo o i vari Tite e Fernando Diniz nelle ultime stagioni.

Insomma, il torneo nordamericano deve essere considerato dal calcio brasiliano un punto di partenza e non di arrivo. Di certo il Mondiale per club ha fatto capire che il Brasileirão meriterebbe qualche attenzione in più da questa parte dell’Atlantico. 

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