Henrikh Mkhitaryan, il cervello fra le linee

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Di lui, parlando a L’Équipe, il compagno di squadra Benjamin Pavard ha detto che «è sottovalutato. Non è una persona a cui piace parlare con i media, ma gli avevo promesso che lo avrei fatto io per lui, quindi questa è l’occasione (ride). È molto efficiente, compensa i nostri spostamenti e, nel nostro sistema di gioco, è uno dei leader. Riesce a trascinare tutti con sé».

In effetti, analizzando l’Inter che si appresta a giocare la finale di Champions contro il Psg (sabato sera all’Allianz Arena di Monaco di Baviera), si tende a parlare sempre dei soliti noti: i due attaccanti Lautaro Martínez e Marcus Thuram; il leone della difesa Francesco Acerbi; il tuttofare Nicolò Barella; il pistone Denzel Dumfries; il braccetto incursore Alessandro Bastoni; il play Hakan Çalhanoğlu…

Colpevolmente viene invece un po’ trascurato il lavoro svolto in mezzo al campo da Henrikh Mkhitarian. A trentasei anni d’età invece l’armeno è ancora elemento chiave della compagine nerazzurra, la cui maglia veste ininterrottamente dal 2022. La sua storia comincia non tanto a Erevan, capitale armena dove è nato, quanto invece a Valence, Francia, dove il padre Hamlet si era traferito per giocare con la squadra locale.

Dopo essere passato anche dall’Association Sportive Ararat Issy, Hamlet Mkhitarian decideva di tornare in Patria, a Erevan appunto, dove il figlio Henrikh comincia a giocare vestendo la maglia del Pyunik FC. Mkhitarian è un talento precoce: a diciassette anni arriva l’esordio fra i professionisti e ben presto, dopo quattro campionati armeni vinti, ecco anche il primo trasferimento all’estero.

Ad acquistare il suo cartellino è il club ucraino Metalurg Donetsk. Il resto è storia. Prima il passaggio nell’altra squadra della città, il più blasonato Shakhtar (per giocare sotto le cure di Mircea Lucescu) e, successivamente, quelli al Borussia Dortmund, al Manchester United e all’Arsenal. Infine l’Italia con Mkhitarian che sbarca alla Roma 2019 rimanendo nella capitale tre stagioni. Quindi arriva la chiamata dell’Inter.

In giallorosso il ruolo dell’armeno era quello di un giocatore offensivo. Parlando qualche anno fa a The Athletic Mkhitarian si definiva un jolly, essendo stato utilizzato da numero 10 ma anche da falso nueve e giocatore esterno.

«Giochiamo in modo diverso a seconda delle squadre, soprattutto quando abbiamo il possesso del pallone» ebbe a dire in quell’occasione. «A volte i trequartisti nel 3-4-2-1 della Roma devono stare dentro al campo, altre volte larghi. Dipende dalla partita e dalla situazione. Non conta tanto la posizione da cui si parte, ma lo spazio: cerchiamo di sfruttare quello spazio per creare occasioni per noi e per i nostri compagni».

In nerazzurro invece il giocatore armeno più forte di tutti i tempi ha trovato una nuova collocazione come mezzala all’interno di una linea a tre completata da Barella e Çalhanoğlu. Come detto in apertura, l’italiano e il turco rubano spesso la scena a Mkhitarian. Ma non per questo il lavoro svolto dal numero 22 dell’Inter deve andare sottovalutato. Anzi, è anche grazie al suo fondamentale contributo che la squadra di Inzaghi è riuscita a raggiungere la seconda finale di Champions in tre stagioni nonché a entrare nel dibattito relativo a quale possa essere considerato il centrocampo attualmente più forte in Europa. 

All’interno del contesto tattico estremamente fluido costruito da Inzaghi, il ruolo di Mkhitarian è quello di una mezzala di possesso, in grado di pulire i palloni che transitano fra i suoi piedi ma non per questo senza possibilità di alzarsi a cucire il gioco in zona di rifinitura o di andare a concludere in prima persona. Come scordare ad esempio l’inserimento con gol realizzato dall’armeno proprio in Champions due stagioni a, in semifinale contro il Milan?

Quest’anno in campionato, in una squadra che attaccava con i quinti, i braccetti, Barella e le due punte, le funzioni di Mkhitarian sono state soprattutto di regìa. Non a caso in base ai dati raccolti da Fbref il numero dei suoi tiri per novanta minuti è calato dagli 1.26 di un anno fa agli 0.86 di questa stagione.

Tutto ciò in conseguenza anche dell’inferiore numero di tocchi registrati nell’area avversaria, passati da 2.07 a 1.65 per 90.

Con l’Inter che, in Europa, tendeva ad avere fasi di difesa posizionale mediamente più lunghe rispetto al campionato, il lavoro chiesto a Mkhitarian è stato anche difensivo. Basti pensare ad esempio ai raddoppi su Lamine Yamal portati dall’armeno portasse nella sfida col Barcellona.

I numeri confermano questa tendenza con Mkhitarian che ha registrato 1.82 contrasti per 90 minuti nella trequarti difensiva in Champions, a fronte degli appena 0.64 in Serie A.

Anche recentemente Inzaghi ha avuto modo di elogiare il suo calciatore. ‹‹È un giocatore super intelligente›› ha dichiarato il tecnico interista. ‹‹Lavora tantissimo per la squadra. Alla Roma e all’Arsenal ha giocato, ma ricopriva un ruolo diverso. Noi abbiamo un centrocampo a tre, e i giocatori si alternano spesso nelle posizioni, quindi lui si ritrova spesso lontano dalla porta››.

Per sperare di avere la meglio del Psg in finale Inzaghi avrà bisogno di un Mkhitarian in forma in entrambe le fasi di gioco. Una delle battaglie chiave della finale avrà infatti luogo in mezzo al campo, là dove al trio interista la squadra di Lusi Enrique può opporre un reparto di altissimo livello composta da Fabián Ruiz, Vitinha e João Neves. I tre iberici sono tutti eccezionali in conduzione ma anche nel trovare linee di passaggio e, soprattutto, nell’andare a riaggredire a palla persa. Contro i centrocampisti del Barcellona, simili per caratteristiche ai francesi, Barella, Çalhanoğlu e Mkhitaryan hanno incontrato delle difficoltà nelle due sfide di semifinale.

Qualche problema a loro volta lo hanno incontrato i parigini contro la fisicità di Thomas Partey e Declan Rice dell’Arsenal o contro quella dell’Aston Villa nei quarti di finale. Gli interisti però non possono opporre ai loro dirimpettai di Monaco lo stesso impatto delle due mediane inglesi.  Sarà quindi necessario che l’Inter, in fase di difesa posizionale, risponda al palleggio e alla fluidità del Psg con una pressione forte sul portatore di palla o, almeno, occupando in modo intelligente i corridoi del campo, per impedire ai francesi di trovare facili linee di passaggio. Quando poi saranno i nerazzurri in possesso, la strada da seguire sarà quella di una estrema pulizia tecnica. In questo senso, in una Inter che non ha dribblatori, l’abilità dell’armeno nel gestire e nel passare la palla diventa ancor più importante.

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