La sconfitta del Psg a Nizza (Et Paris est tombé ha titolato L’Équipe) implica che il Nantes 1994-95 conserverà il suo record di trentadue partite senza sconfitte nell’arco di un campionato. Una battuta d’arresto, quella dei parigini, figlia delle grandi parate del polacco Marcin Bulka (numero 1 del Nizza) e della doppietta di Morgan Sanson, al rientro da titolare dopo un anno travagliato a causa di vari infortuni.
E così, gli uomini di Luis Enrique non sono riusciti ad eguagliare la striscia di imbattibilità stabilita trent’anni fa dal Nantes. «Questo dimostra quanto è grande quello che abbiamo fatto» ha ricordato Eddy Capron, difensore centrale di quella squadra, capace fra il 1994 e il 1996 di conquistare un titolo di campione di Francia, una semifinale di Champions (sconfitta dalla Juventus) e di lasciare un’impronta indelebile grazie a un tipo di calcio che venne chiamato jeu à la nantaise.
A guidare quel gruppo dalla panchina c’è Jean-Claude Suaudeau, una istituzione nella città bretone: ex giocatore, ex tecnico della squadra riserve e già allenatore della prima squadra fra il 1982 e il 1988 con un titolo conquistato nel 1983.
Dopo una prima separazione dal club (avvenuta nel 1988), Suaudeau viene richiamato nel 1991 per prendere il posto del croato Miroslav Blažević. La squadra a sua disposizione è, tecnicamente, di buon livello ma, soprattutto, potente fisicamente. In più gioca un calcio tipicamente francese e tipicamente anni Novanta, fatto di intensità e verticalità, in base all’assunto per cui «il pallone andrà sempre più veloce di qualsiasi giocatore».
‹‹A Nantes, la squadra aveva una grande predisposizione alla corsa, in rapporto a ciò che era possibile chiedere considerando l’esigenza del nostro gioco. Ci appoggiavamo su un ampio serbatoio di capacità aerobica›› ha spiegato Suaudeau.
Il tecnico è figlio di quel José Arribas che, negli anni Sessanta, ha rivoluzionato il calcio transalpino, rifiutando le marcature individuali a favore della zona, con difesa in linea e tattica del fuorigioco. Arribas, ex allenatore proprio del Nantes, è uno dei tre tattici che influenzano lo Stade de la Beaujoire. Con lo spagnolo (bilbaino, per rimarcare ancora una volta la grandezza della scuola basca) e Suaudeau bisogna infatti aggiungere Raynald Denoueix. Anch’egli futuro allenatore dei Canaris, Denoueix è alla guida del centro di formazione del club bretone fra il 1982 e il 1997.
Negli anni Novanta (quelli dell’esplosione del modello francese a livello calcistico), il settore giovanile del Nantes produce giocatori come Patrice Loko, Raymond Pedros, Nicolas Ouédec, Claude Makélélé e Christian Karembeu.
Ma come giocava quel Nantes di Suaudeau? ‹‹Invece di fare dieci passaggi, ne facevamo tre. Ma non passaggi qualsiasi››. Lo scopo della gestione della palla era di quello di guadagnare campo. ‹‹In base alla posizione del giocatore che recuperava il pallone, si scatenavano delle corse», spiega Patrice Rio, ex difensore del primo Nantes di Suaudeau.
La chiave era il centrocampo. «Erano 5-6 giocatori, a centrocampo, che trascinavano gli altri. Quegli elementi non li sceglievamo a caso. Erano i garanti dei nostri principi. E io ero molto esigente con loro›› ha ricordato il tecnico.
Se oggi, per molte squadre, l’ossessione è il controllo della partita (da esercitarsi attraverso il possesso) per il Nantes del 1994 l’obiettivo era verticalizzare il prima possibile. A far muovere il pallone di pensano soprattutto i due leader tecnici della squadra, Japhet N’Doram e Raynald Pedros, rispettivamente il vertice alto e la mezzala sinistra del 4-3-1-2 con cui il Nantes si disponeva sul terreno.
Nel libro La Belle équipe (dove si parla proprio della stagione 1994-1995 dei Canaris) Pedros, ha trattegiamento alcuni aspetti della metodlogia di allenamento di Suaudeau. ‹‹Il giorno dopo una partita, aveva organizzato una disposizione tattica 11 contro 11 senza pallone e ci aveva detto: ‘Adesso dovete mimare tutti i gesti tecnici che potreste compiere nel vostro ruolo’. Allora io, nella mia corsia sinistra, facevo smarcamenti, dribblavo senza palla, mimavo dei cambi di gioco. Da fuori dovevamo sembrare dei pazzi, ma lo facevamo con grande impegno perché credevamo nelle sue idee››.
Accanto a questi giocatori c’erano poi altri elementi che davano fisicità e atletismo al Nantes, a partire dai già menzionati Karembeu (futuro sampdoriano e madridista) e Makélélé
‹‹Il gioco è sempre stato per lui spazio e movimento, ovunque su un campo, non solo su quello da calcio, ma anche da tennis, da basket, da rugby. Durante il nostro primo incontro, mi ha semplicemente chiesto se sapessi correre›› ha spiegato Karembeau.
Serge Le Dizet, uno dei veterani all’epoca, ha ricordato che ‹‹Suaudeau mi diceva: Il tuo compito è dare loro il pallone velocemente››.
‹‹A Nantes, la squadra aveva una grande predisposizione alla corsa (…) ci appoggiavamo su un ampio serbatoio aerobico (…) a livello di velocità, cambi di ritmo, pressing, gioco senza palla, era fantastico. Facevamo sequenze brevi ma di un’intensità incredibile. Tutte queste idee forti sono ben visibili sullo schermo, specialmente quando si analizzano alcune sequenze come le uscite palla al piede››ha detto Suaudeau.
Parte integrante del modello del jeu à la nantaise era poi la fase difensiva, aggressiva e basata su transizioni veloci. «I giocatori più vicini al portatore di palla dovevano muoversi in modo che altri potessero recuperare dietro nelle migliori condizioni».
‹‹Chiedevo che il primo tocco dopo il recupero fosse giocato in avanti e, se possibile, senza controllo».

Del gioco alla nantese si è occupato in passato anche il sociologo Daniel Ollivier. Autore del libro L’alchimie du jeu à la nantaise lo studioso francese, parlando all’ Informateur Judiciaire, ha dichiarato: ‹‹le tre parole chiave del gioco alla nantese sono collettivo, movimento e tecnica. È questa la definizione iniziale data da José Arribas, poi seguita dai suoi discepoli, con ovviamente alcune evoluzioni riguardanti la formazione, la preparazione fisica…il gioco alla nantese è davvero un gioco pensato per l’intera squadra, dove tutti devono essere costantemente in movimento. Suaudeau, ad esempio, non sopportava di vedere giocatori statici durante l’allenamento, e lui stesso era sempre in movimento.
Tranne il martedì, quando aveva istituito un debriefing di due ore, condotto dai giocatori stessi, prima ancora che lui fornisse la propria analisi. Oggi questo metodo sembra piuttosto comune, ma negli anni ’70 e ’80 non era affatto il modello››.
Quella squadra cadde una sola volta nel 1995, il 15 aprile contro lo Strasburgo, davanti a una formazion alsaziana che aveva in organico giocatori quali Frank Leboeuf, Marc Keller, Rémi Garde, Xavier Gravelaine e Alexandre Mostovoï
‹‹Non ci rendevamo conto di cosa significasse rimanere trentadue partite senza›› ha ricordato Le Dizet. ‹‹Ora mi accordo che è straordinario››. Un record che, grazie alla caduta del Psg, continua a resistere.

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