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Otto reti equamente distribuite per un 4-4 che entra negli annali del calcio italiano. Non è facile infatti in Serie A vedere una partita come quella fra Inter e Juventus, chiusa con un pari a dir poco rocambolesco, entusiasmante per l’altalena di emozioni prodotte (soprattutto per gli spettatori neutrali, come dichiarato da Simone Inzaghi nel post gara) e con alcuni spunti tattici interessanti.
In questa sede però, invece di un’analisi delle situazioni specifiche osservate nel pomeriggio di San Siro, riteniamo preferibile dare un quadro generale di cosa lascia questo ennesimo derby d’Italia.
Ad uscire peggio dal confronto è, a nostro avviso, l’Inter. I padroni di casa infatti si sono ritrovati avanti di due reti a venti minuti dalla fine, non riuscendo però a portare a casa l’intera posta in palio. Se guardiamo poi come sono arrivate le marcature nerazzurre notiamo come soltanto una (quella di Mkhitaryan) sia arrivata da un’azione manovrata. Le altre tre segnature invece sono state figlie di tre calci piazzati. Per la precisione, di un angolo e di due rigori, questi ultimi generosamente concessi da due ingenuità individuali commesse da Danilo e Kalulu.
Quando si è trattato di creare qualcosa contro il blocco difensivo bianconero invece la squadra di Inzaghi ha fatto molta fatica, non riuscendo a procurarsi occasioni pulite. In questo senso, la fase di non possesso della Juve si è confermata buona, al di là delle quattro reti concesse.
Di contro però c’è una fase offensiva che ha sì prodotto più di quanto mostrato in settimana nella sfida di Champions persa in casa contro lo Stoccarda, ma che è stata basata essenzialmente su iniziative individuali.
A proposito dei bianconeri restano dunque aperte le discussioni riguardanti due delle problematiche evidenziate fino ad oggi in stagione: la fluidità in attacco e le scelte di Thiago Motta.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la Juventus vista all’opera a San Siro si conferma compagine per certi versi bloccata, alla perdurante ricerca di un controllo che stavolta è venuto meno (per tutta una serie di circostanze) ma che resta l’obiettivo primario di Motta. La squadra è prevedibile nel suo attacco posizionale, con cinque giocatori deputati alla costruzione e cinque all’invasione degli ultimi trenta metri di campo.
All’interno di questa struttura resta aperta la questione relativa a quali compiti debbano essere assolti dai giocatori (alcuni sono spesso utilizzati in funzioni che non sono loro proprie) e, di conseguenza, quella che riguarda le scelte iniziali di Motta. L’insistenza su Danilo (a discapito di Gatti) ha fatto storcere la bocca a molti in sede di lettura delle formazioni iniziali. Il campo ha poi dato ragione ai dubbiosi. A fronte di alcune scelte che si sono rivelate azzeccate (la titolarità di Cabal) ce ne sono state altre che non lo sono state (la sostituzione di Vlahović a gara in corso, la panchina di Yildiz).
A questo si aggiunga la difficoltà evidenziata dai bianconeri quando l’Inter ha scelto di pressare forte in avanti. Una difficoltà già incontrata in settimana contro la strategia aggressiva messa in atto dallo Stoccarda nella già citata gara di coppa Campioni. L’assenza di Bremer sembra pesare più del previsto, in particolare in uscita palla da dietro, là dove il brasiliano ha dimostrato di avere qualità insospettate fino a questa stagione.
Venendo all’Inter, la squadra campione d’Italia non sembra avere la solidità di un tempo. Gli inserimenti in avanti degli juventini hanno provocato diversi un mal di testa ad una retroguardia priva del baluardo Acerbi. A questo si aggiunga il fatto che l’Inter si è trovata spesso a dover gestire l’isolamento in fascia sinistra di Bastoni contro Conceição jr. Il portoghese ha fatto ammattire il difensore della nazionale italiana.
Le letture difensive degli interisti sono state negative su tutti e quattro i gol concessi. E questo deve preoccupare non poco Inzaghi. Il centrocampo non ha garantito il solito filtro. Davanti, Lautaro Martínez è stato impalpabile.
Alla fine dunque la partita lascia nei due tecnici più dubbi che certezze. Sicuramente lo spettacolo offerto ha fatto la felicità di chi ritiene che il calcio sia soprattutto segnare gol. Ad un’analisi maggiormente distaccata però, probabilmente, la partita di Milano appare come una eccezione che pochi vorrebbero si ripetesse. In particolare i due allenatori.

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