Sinfonia catalana

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Foto: IMAGO / Revierfoto

Una superiorità disarmante, ben illustrata dal risultato finale (0-4), dalle ulteriori occasioni avute (che avrebbero potuto rendere la vittoria ancor più rotonda) e dai dati del post-gara riportati da Soccerment, fra i quali spiccano il dominio a livello di possesso (58.5% pur giocando in trasferta su un campo difficile) e quello relativo al field tilt (59.2%), vale a dire il controllo del pallone avuto nell’ultimo terzo di campo).

Quello andato in scena in una calda serata d’ottobre al Santiago Bernabéu è stato dunque il Clásico del trionfo del Barcellona, dei suoi ragazzini terribili, del sempreverde Robert Lewandoski e di Hansi Flick.

Una esibizione di calcio propositivo, sia in fase di possesso che in quella di non possesso, come testimonia l’utilizzo sistematico di quella che un tempo si sarebbe definita la trappola del fuorigioco.

I 12 offside provocati dai blaugrana non solo rappresentano il secondo dato più elevato registrato nei migliori cinque campionati europei dalla stagione 2017-18 ma portano anche la media stagione della squadra di Flick a quota 7. Insomma, chi pensava che, contro il Real Madrid, il tedesco avrebbe abbassato la sua linea arretrata, in nome di un atteggiamento guardingo, ha dovuto ricredersi.

La perfetta applicazione del fuorigioco alto da parte del Barça è stata particolarmente deleteria per Kylian Mbappé. L’attaccante francese, arrivato al suo primo Clásico con buoni numeri (8 reti e 2 assist prodotti nelle prime 14 uscite con la maglia dei blancos) si è infatti fatto pescare oltre la linea difensiva avversaria in ben 8 circostanze.

Un trattamento simile il Real e i suoi attaccanti lo avevano già subito nella loro storia. Ci riferiamo alle due sfide di semifinale di coppa dei Campioni 1989 contro il Milan di Arrigo Sacchi, quando (pur ricordando che la regola del fuorigioco era diversa da quella attuale) Emilio Butragueño (unico dirigente del club a parlare dopo la batosta di ieri), Hugo Sánchez e compagni vennero ingabbiati dai perfetti sincronismi difensivi rossoneri.

Oltre a questa problematica, a gravare sulla fase offensiva delle merengues è stata anche l’imprecisione dei suoi avanti. E qui torniamo a Mbappé che, pur tra mille difficoltà, è riuscito ad avere comunque tre buone occasioni (e un totale di 0.62 xG a favore) sprecandole malamente, grazie anche ad un Iñaki Peña sempre abile in uscita, sia quando si è trattato di opporsi al francese sia quando ha dovuto agire da libero alle spalle dell’altissima, ultima linea blaugrana.

Quando una squadra è così organizzata difensivamente, oltre al tecnico bisogna menzionare anche il lavoro dei giocatori, a cominciare dai due centrali Iñigo Martínez e Pau Cubarsí. Quest’ultimo, appena diciassettenne, ha confermato insieme ai compagni di squadra che La Masia è ancora viva e capace di sfornare ottimi giocatori.  

Accanto ai due centrali non va però sottovalutata la prestazione dei due terzini, Alejandro Balde a sinistra e, soprattutto, Jules Koundé a destra. Il lato mancino dell’attacco madrileno infatti era (giustamente) temuto dal Barcellona, dato che in quella zona di campo gravita Vinícius Jr

Il brasiliano invece è stato un non fattore, grazie appunto alla splendida prova difensiva dei catalani e anche ad un piano gara tutt’altro che perfetto orchestrato da Carlo Ancelotti. Contro una formazione che difende in modo così coraggioso (e rischioso) com’è appunto il Barça, una gestione della palla improntata al classico palla avanti, palla indietro, palla nello spazio avrebbe probabilmente disinnescato (o comunque creato maggiori problemi) al fuorigioco della squadra di Flick.

Il Real Madrid invece si è intestardito nello sparacchiare palle lunghe in avanti, sperando in qualche inceppamento del sistema difensivo avversario. In pratica, lanciare sul profondo nella convinzione che, prima o poi, uno fra Vinícius e Mbappé sarebbe riuscito a bucare il fuorigioco del Barcellona. Così non è stato e Ancelotti non ha mai provato ad utilizzare un qualche piano B.

Mentre quindi la fase di non possesso catalana ha retto eccezionalmente, quella del Real non è stata esente da colpe. Anzi, al contrario, non soltanto la linea arretrata dei padroni di casa era spesso disarticolata, ma i centrali Éder Militão e Antonio Rüdiger si sono trovati in difficoltà al momento di difendere su Lewandowski.

E questo è accaduto non solo quando il polacco veniva a giocare di sponda incontro, ma anche quando sceglieva di attaccare la profondità. Lo si è visto bene in occasione della rete del vantaggio del Barça, con l’ex attaccante del Bayern Monaco che puniva un allineamento diciamo rivedibile della retroguardia merengue.

Non che la difesa della propria area di rigore sia stata migliore da parte dei due centrali del Real, colti in fallo sul raddoppio del polacco.

La battaglia tattica è stata quindi completamente vinta da Flick. Il tedesco ha presentato un piano gara migliore rispetto ad Ancelotti, riuscendo ad incidere anche attraverso le sostituzioni. E questo è avvenuto in modo particolare quando è stato fatto entrare in campo Frenkie de Jong, con conseguente ricollocamento di Pedri in posizione più avanzata. L’olandese ha tenuto lezione su come si gestisce la palla in fase di possesso, muovendola con un ritmo adeguato (ora alto, ora basso) in funzione del momento.

La mediana con de Jong e Marc Casadó e con Pedri vertice alto ha poi dato superiorità numerica al Barcellona nel mezzo al campo, là dove invece Eduardo Camavinga, Federico Valverde e Aurélien Tchouaméni si sono dimostrati inefficaci nel contenimento

Sulla destra del Real imperversava poi Raphinha (tre passaggi chiave per lui), centrale nel progetto tecnico culé.

Pressing, linea difensiva alta, possesso…al Bernabéu si è data conferma del ritorno in questa stagione di un Barcellona funzionale, per di più con un’età media bassa, grazie ai tanti giovanissimi scesi sul terreno di gioco. Non male per un Flick troppo spesso sottovalutato e accolto con scetticismo al momento del suo arrivo in Catalogna.

Il tecnico tedesco sembra essere riuscito a fare quello che in molti, prima di lui, hanno soltanto provato a realizzare: modernizzare il gioco del Barcellona di Pep Guardiola, adeguandolo ad una squadra diversa e al mutato contesto storico. Per riuscire in questo, come ha scritto The Athletic, Flick è ricorso ad una versione più rischiosa del Barça, spesso più frenetica. In una parola, zemaniana.

Dall’altra parte resta invece un Real alle prese con problemi finora irrisolti. La strada per Ancelotti è sempre quella di cercare di risolvere le difficoltà di convivenza fra i tanti talenti offensivi che gli sono stati messi a disposizione. In questo senso, Mbappé è ancora un elemento estraneo alla squadra.

Estraneo ma catalizzatore. Le giocate offensive viste nel Clásico erano tutte costruite su di lui. Tant’è vero che Vini jr. ha chiuso la sua gara senza registrare nemmeno un tiro in porta.

Finora però Mbappé, lungi dall’essersi integrato, sta sparigliando quei meccanismi relazionali ammirati alla Casa Blanca fino all’anno scorso. Insomma, contro il Barcellona di relazionismo se n’è visto poco.

Per di più, trovare spazio a Mbappé finora ha significato sacrificare Jude Bellingham, contro gli uomini di Flick ridotto ad un lavoro oscuro da quinto aggiunto partendo da laterale destro di centrocampo. Un lavoro che l’inglese ha svolto decentemente, con grande applicazione, ma che finisce per snaturarlo, col risultato di impoverire la fase d’attacco della sua squadra.

Una trasformazione non da poco per un giocatore che, nel 2023-24, aveva fatto vedere cose straordinarie giocando a ridosso delle punte. Un problema in più da risolvere per un Ancelotti che si ritrova ora a 6 punti di distanza dal Barcellona nella Liga.

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