La morte di Franz Beckenbauer ha ovviamente scosso il mondo del calcio. Stiamo infatti parlando di una figura iconica di questo sport, per molti il più forte difensore di sempre. Il football perde quella che era la sua ultima leggenda vivente, un giocatore dello stesso livello dei vari Ferenc Puskás, Alfredo Di Stefano, Pelé, Johann Cruyff e Diego Maradona.
Sull’importanza del Beckenbauer calciatore consiglio questo articolo del Guardian e quest’altro di The Athletic. In questa sede invece vorrei soffermarmi sul Beckenbauer che ho conosciuto io (per così dire) vale a dire quello che, smessi i panni del libero in campo, diventò un validissimo allenatore.
La sua seconda vita (ne avrà anche una terza da dirigente del Bayern) Kaiser Franz la inizia nel 1984 letteralmente fuori dal nulla. All’epoca infatti Beckenbauer collaborava con la Bild, giornale tedesco che lanciò l’idea di proporre l’ex campione del Mondo del 1974 come nuovo commissario tecnico della nazionale tedesca subito dopo la fine dell’era di Jupp Derwall, conclusasi mestamente con una eliminazione nel gruppo B di Euro 84 (all’epoca andavano all’Europeo soltanto otto squadre, divise in due gironi).
Alla guida dell’allora Germania Ovest l’ex libero ottenne un secondo posto ai Mondiali messicani del 1986 (sconfitta 3-2 in finale contro l’Argentina di Maradona), una semifinale agli Europei casalinghi del 1988 e un titolo di campione del Mondo vinto in Italia nel 1990 (rivincita contro Maradona e compagni per 1-0 con un rigore alquanto discutibile che decise la partita a favore dei tedeschi).
Ricordare Beckenbauer diventa così anche un modo per rammentare quella nazionale che vinse in Italia. Nazionale che fra l’altro indossava una delle maglie da gioco più belle che si siano mai viste, ancora oggi nel cuore degli appassionati.
A quel torneo iridato la Germania Ovest arrivò dopo il già menzionato Europeo di due anni prima, nel quale Beckenbauer aveva messo da parte la vecchia guardia dei mondiali messicani del 1986 (Harald Schumacher, Karlheinz Förster, Hans-Peter Briegel, Felix Magath, Karl-Heinze Rummenigge, Klaus Allofs) innervando la squadra di giovani promettenti come il portiere Bodo Illgner, i difensori Thomas Berthold e Jürgen Kohler, il genietto di centrocampo Olaf Thon, l’attaccante Jürgen Klinsmann.
Quella squadra fu protagonista vittoriosa di un Mondiale tutto sommato scadente sul piano del gioco, che si ricorda più che altro per la celeberrima canzone Notti Magiche cantata da Gianna Nannini e Edoardo Bennato, probabilmente il miglior inno di sempre nella storia della coppa del Mondo.
Per il resto, il livello tecnico non fu eccezionale (nonostante le tante stelle presenti in campo) così come non lo fu quello dello spettacolo (media di 2.21 gol a partita, la più bassa di sempre). Tatticamente Italia 90 fu il torneo del 5-3-2, delle formazioni cioè con un difensore in più (il libero) alle spalle di due marcatori, con due fluidificanti, una mediana muscolare a tre e due attaccanti. D’altra parte, con quel sistema di gioco l’Argentina aveva vinto il torneo quattro anni prima.
La Germania campione di Beckenbauer si ancorava su Illgner fra i pali, Klaus Augenthaler (l’erede di Kaiser Franz al Bayern) libero dietro i due marcatori Guido Buchwald e Kohler con l’interista Andreas Brehme a sinistra e Berthold (più difensivo) sulla destra.
In mezzo tutto ruotava intorno alla regìa di Lothar Matthäus, affiancato dai due fantasisti Thomas Häßler e Pierre Littbarski (come mezzali d’incursione). Davanti poi ci pensavano Klinsmann ed il romanista Rudi Völler.
Una formazione compatta, granitica, forte fisicamente ma dotata anche di una certa dose di estro (in Häßler e Littbarski), che si difendeva bene e altrettanto bene ripartiva in contropiede, giocando un calcio forse non entusiasmante ma nemmeno così retrivo (per l’epoca) come spesso si ricorda.
Vincendo in Italia Beckenbauer diventa il secondo (insieme al brasiliano Mário Zagallo, anch’egli recentemente scomparso) ad aver conquistato un titolo mondiale sia da giocatore che da allenatore. Nel 2018 entrerà poi in questo ristretto club il francese Didier Deschamps.
Chiusa nel 1990 l’esperienza da allenatore della Germania, il 6 settembre 1990 Beckenbauer firma come direttore tecnico dell’Olympique Marsiglia di Bernard Tapie, andando a sostituire Gérard Gili sulla panchina dei francesi.
Quel Marsiglia era la squadra più forte di Francia. Sorretta dalle fortune di Tapie, l’OM annoverava campioni del calibro di Manuel Amoros, Basile Boli, Mozer, Jean-Pierre Papin, Dragan Stojković, Éric Cantona e Chris Waddle.
Nonostante una sconfitta all’esordio (0-1 in casa contro il Cannes) il rendimento dell’OM con il tedesco in panchina è molto buono. Tuttavia, presto cominciano i dissapori con lo stesso Tapie, che vorrebbe interferire nella gestione tattica della squadra.
Beckenbauer decide quindi di lasciare il ruolo da allenatore (al suo posto verrà ingaggiato il belga Raymond Goethals) per restare come dirigente del club transalpino. Una breve parentesi dunque, che confermò comunque la bravura di Beckenbauer come tecnico.
Kaiser Franz ebbe comunque una ultima parentesi in panchina, divisa in due parti e col suo vecchio club, il Bayern Monaco. Nel dicembre 1993 subentrò infatti a Erich Ribbeck, guidando Die Roten alla vittoria in Bundesliga. Nell’aprile 1996 il Bayern tornò di nuovo a chiedere aiuto al suo vecchio capitano, stavolta per sostituire Otto Rehhagel. Beckenbauer chiuse la stagione conquistando una coppa Uefa, a spese del Bordeaux.
Ruhe in Frieden Franz!

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